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 2021  febbraio 07 Domenica calendario

Una casetta di marzapane chiamata TikTok

TikTok sembra diventato la casetta di marzapane della strega cattiva di Hansel e Gretel. Immagino che sia comodo pensarlo per i resistenti al fatale liquefarsi di ogni realtà in aree digitali condivise, anche perché a qualcuno si dovrà pur dare la colpa per gli atti auto distruttivi dei nostri ragazzini. I fatti tragici delle sfide finite con la morte di Antonella, 10 anni, e del bambino di Bari di 9, fanno sorgere la domanda: TikTok è l’omino di burro che traghetta i discoli al paese dei balocchi? Non è così, o meglio è anche questo ma non solo. Conduce senza dubbio a un flusso che attira, proprio perché fa respirare l’aria di casa, dopo aver provato i social che imponevano velleitarie ricostruzioni di epiche esistenze. Si pensi a Instagram; anche nello squallore di un monolocale con angolo cottura, chiunque può fotografare un bicchiere semipieno in primissimo piano, per millantare lussuose atmosfere goderecce.
TikTok è stato progettato come una perfetta carta moschicida, proprio perché non pretende iperboli fantastiche, solo sfide condominiali, virtuosismi da pianerottolo. Per questa sua dimensione minimale non esiste una macchina da intrattenimento altrettanto modulabile sul proprio pubblico, nutrito con una dieta personalizzata di video brevissimi, in pochi secondi può starci quanto basta per una storia compiuta. Ci troviamo di fronte a un medium basato su una struttura ispirata a principi di meccanica "quantistica", TikTok apre tanti possibili universi paralleli per quanti sono i suoi utenti.
Le performance durano in genere quindici secondi e possono essere personalizzate con filtri, effetti e velocità modificate: oltre al ritmo normale, si può creare il time-lapse (la frequenza rallentata) o la modalità "epica" (frequenza accelerata). Ogni giorno si riversano nella piattaforma qualcosa come dodici milioni di video, in tutte le lingue del mondo. Questo dovrebbe confortare non atterrire, entriamo in una perfetta scatola cinese che di sicuro ci espropria il calco di ogni singolarità del nostro esistere, ma poi ci proietta nel paradiso confortante dei nostri desideri, quelli così strettamente legati alla nostra equazione esistenziale che nemmeno siamo capaci di allucinare.
TikTok è la nostra "ipercameretta" di bambini. Una scatola che legittima la voglia di recessione alla stupidea, quella voglia di cazzeggio che ci portiamo dietro per tutta la vita, un teatrino dei pupi segreto dove sia lecito mettere in scena i nostri momenti di liberatoria scempiaggine.
Per questa ragione, se a un signore di 66 anni, come me, viene chiesto di cercare su TikTok traccia di abomini infantil-adolescenziali, deve fare probabilmente una fatica improba per trovarsi come interlocutore di una Blackout Challenge.
La fata madrina tipo per il mio target governa tutt’altro universo; cito come primo esempio, preso a caso, una gradevole signora, mia quasi coetanea, il suo status è "la vecchia è tornata!". Nell’ultimo post ammicca con il decolté incollato allo smartphone: «bisogna leccarlo per bagnarlo». E si mette un dito in bocca. «Bisogna spingerlo per infilarlo, bisogna ciucciarlo per addrizzarlo». Di nuovo passa la lingua sul metaforico dito, poi conclude.«Uffa ma quanto è difficile mettere il filo nell’ago!»
C’è da scommettere che sia una tenera nonnina e delizia dei nipotini, in TikTok si concede dieci secondi di licenziosità permessa, ben oltre lo "stargate" della sua gabbia domestica. Alle spalle il baluginio delle piastrelle bianche del bagno, una finestra chiusa, la tendina in poliestere con tralci di fiori rosa. La seguono più di settemila persone, non tante in assoluto, ma sicuramente molte di più assai dello sparuto gruppo di pensionati che avrebbe potuto incontrare al centro anziani del suo quartiere. Soprattutto qui non deve mettersi il vestito della festa, farsi i ricci o simulare una vita fantastica. Qui è lei con le sue felpucce infeltrite, i suoi capelli sfibrati, le sue rughe. Tutto da consumare in ogni location possibile, tra quelle che potrà inventarsi dentro le quattro mura del suo appartamentino.
Nessuno parlerà di questa donna in termini di allarme sociale, come pure dei tanti TikTokkatori diversamente pischelli come lei, una campionatura di milioni di individui nella super norma che sgusciano inosservati attraverso le fessure che nessuno presidia, invisibili nei proclami apocalittici delle vestali custodi del sacro fuoco del bel mondo di una volta.
Farebbero invece bene a chiamare il loro esorcista, perché TikTok è moltitudine. I più timorati potrebbero pure ben dire che il suo nome è legione, assimilandolo al maligno proprio per la sua capacità di sedurre sotto un’infinità di forme differenti.
TikTok analizza qualunque nostro comportamento, ci legge i pensieri persino dalla maniera con cui tocchiamo lo schermo del nostro smartphone. Al momento nessuna app usa strumenti di deflorante profilazione invasivi come l’algoritmo cinese che muove TikTok. Tanto è vero che Walmart, il colosso americano della vendita al dettaglio, si è fatto avanti tra i big che vorrebbero acquistarlo, pensandolo probabilmente come l’unica arma segreta che potrebbe permettergli di contrastare l’odiatissima azienda nemica Amazon.
È chiaro come TikTok sia l’oggetto del desiderio più ambito per chi abbia qualcosa da vendere, non solo per la sua funzione di trascinatore di ragazzini in misura enorme rispetto a ogni precedente pifferaio di Hamelin, ancora di più perché è la killer application che genera, a ogni età, una dipendenza per l’infantile passatempo della giocosa turpitudine. È l’evoluzione della gara delle puzzette, degli scatenamenti dal tedio di pomeriggi invernali. Nulla in quelle circostanze decongestionava dal ruzzo come le pantomime circensi davanti allo specchio, o gli accampamenti sul lettone dei genitori, sotto al tavolo del salotto buono. Gli stessi set in cui TikTok inchioda i suoi utenti.
Ad agosto scorso Forbes ha stilato la sua classifica delle Tik Toker più pagate: prima è arrivata Addison Rae Easterling, con un fatturato di 5 milioni di dollari e oltre un milione di follower che si appasssionano ai suoi balletti agonistici. Seguono le sorelle Charlie e Dixie D’Amelio, specializzate in balletti virali e che tra l’altro fanno a gara per follower e milioni, salvo poi mettersi insieme per firmare accordi con aziende di cosmetici. La lista è in continuo aggiornamento e, come specifica la redazione, «non include celebrità tradizionali come Dwayne Johnson e Jason Derulo o YouTuber come Zach King e David Dobrick, che hanno tutti milioni di follower su TikTok».
Impressiona osservare, ancora su TikTok, i tratti comuni di questo rimbambinimento globale; gli stessi scherzi stupidarelli tra genitori e figli, tra nipoti e nonni, tra coniugi o coppie di ogni età, cittadinanza e latitudine geografica.
Riaffiorano in TikTok i segni dell’omologazione creata da mercati che hanno ispirato spettacoli televisivi, che sono serviti negli anni a vestire persone, ad arredare case, a suggerire comportamenti, stereotipie, far orecchiare canzoncine e proporre in più lingue la stessa gag demenziale.
Ci possiamo così ritrovare tutti a ballare "Jerusalema" nel salottino, con lo stesso divanetto, lo stesso pavimento porcellanato, lo stesso paralume al soffitto. Tutti a distanza di continenti, tutti appagati da quelle decine di secondi di libera uscita dalle comuni mestizie che ci regala TikTok. Non gratis, ma solo a chi sia disposto a cedergli il codice per farsi clonare l’anima.