La Stampa, 7 febbraio 2021
Giorgia Meloni, la lotta e non il governo
Curioso, però. Nella corsa a dire di sì a Draghi, l’unico partito a dirgli di no è anche l’unico a guida femminile. Fratelli d’Italia non entrerà nel governo, non l’appoggerà dall’esterno e al massimo, o al minimo, darà una mano se serve, eventualità che con tutti dentro tranne FdI sembra piuttosto improbabile. Giorgia Meloni l’ha fatto sapere da subito, senza se e senza ma, con la sua tipica allergia alle sfumature, bianco o nero (soprattutto nero, per la verità). Macché salvatore della Patria, per lei superMario è soltanto l’ultimo trucco dei poteri forti per impedire al centrodestra in generale e a FdI in particolare di andare alle elezioni, vincerle e governare il Paese, ammesso che nel frattempo resti ancora qualcosa da governare.
Nessun dubbio, fin dall’inizio. Da una settimana, Giorgia non le manda a dire ai nemici, e vabbé, ma anche agli «amici» di un centrodestra ormai defunto e perfino all’intoccabile Quirinale. «Questo racconto secondo cui per essere protagonisti in politica bisogna fare gli inciuci non lo condivido» (lunedì, a La Repubblica). «Non credo a un altro governo nato nei laboratori del Palazzo e in mano al Pd e a Renzi» (martedì, su Facebook). «Non condivido la scelta del Presidente della Repubblica di aver escluso il voto e mi pare anche, francamente, che alcune motivazioni del Presidente Mattarella fossero forzate» (mercoledì, a «Restart»). «FdI non ha le difficoltà interne di altri partiti, ma non capisco la posizione di Salvini sul governo Draghi» (giovedì, a «Porta a porta»). «Voglio andare al governo con Salvini e Forza Italia, non con il Pd e il M5s» (venerdì, all’Ansa). «Da Berlusconi mi aspettavo che avrebbe detto di sì a Draghi. Dalla Lega meno, lo avevano escluso» (ieri, a Il Corriere). Oggi magari tirerà il fiato ma continuerà a tirare dritto. Massima concessione ai presunti alleati, l’ipotesi di astenersi se l’avessero fatto anche Matteo e Silvio. Visto che è subito tramontata, per Giorgia sarà opposizione dura e pura (e anche solitaria, pare, a meno che LeU non ci ripensi e Dibba faccia finalmente la scissione che minaccia sempre fra un tour e l’altro nelle favelas).
La Lega soffre ma s’offre? Fd’I prova ad approfittarne. Meloni conta di fare da catalizzatore di tutti gli scontenti, mentre alla destra di un Salvini folgorato sulla via di Città della Pieve si aprono, lei spera, delle praterie elettorali. Le obiezioni possibili sono due. La prima è che Draghi non è un Conte qualsiasi e si presume quindi che governerà meglio. La seconda, che a differenza di Monti che doveva soltanto tagliare, Draghi dovrà soprattutto spendere, e per una volta i soldi non ce li metteranno gli italiani ma l’Europa. Ma, come dice un fratello d’Italia, il governo prossimo venturo avrà sì una base ampia, ma tenere insieme chi si è insultato fino al giorno prima non sarà facile. «E Draghi sarà anche Ronaldo come dice Giorgetti, ma se la squadra non gli fa arrivare dei palloni giocabili neanche lui fa goal».
Però per Giorgia ci sono anche motivazioni più profonde. Il partito che ha fondato nacque proprio come reazione a un altro governo di salvezza nazionale. Correva l’anno 2012 e Fratelli d’Italia si smarcò dal Popolo delle Libertà per non appoggiare «Bin Loden» Monti. Ma nella scelta di correre in solitaria di Meloni c’entra anche il suo essere donna, dunque, secondo lei, più attrezzata a gestire un consenso crescente.
«La differenza fra un uomo e una donna - spiegò una volta - è che noi donne non ci facciamo prendere la mano dal successo. Il testosterone dà alla testa: noi restiamo con i piedi per terra». Sì, perché questa postfascista modello Dio, Patria e famiglia è pure, a suo modo, una femminista. «Sono Giorgia, sono una donna e sono cristiana», come scandì a un memorabile comizio, in un crescendo subito remixato e diventato una hit su tutti gli smartphone. Sono una donna e non sono una santa, potrebbe aggiungere lei con Rosanna Fratello (non d’Italia), visto che è una passionale capace di passare dall’invettiva alla tenerezza in un attimo, ma sempre convinta che essere donna in politica sia un atout.
Di certo, nel gran ritorno dei toni bassi, delle grisaglie, dei politici che danno i numeri ma perché li sanno maneggiare che si annuncia con l’era Draghi, insomma in tutto questo revival delle buone maniere istituzionali, lei non rinuncerà alle sue. Populista in politica, popolare nella pubblica opinione, è popolana nei modi, anche scherzandoci su come quando dalla sinistra chic le diedero della «pesciarola» e lei esibì sui social un gran vassoio di pesce strillando: «Quanto siete lontani dalla gggente». Idem per il romanesco, i souvenir dell’infanzia difficile alla Garbatella, le parolacce quando servono, il gusto della battuta (girando con le stampelle per un incidente, «dico no a un governo zoppo»), insomma tutta la costruzione del personaggio Meloni. Comprensivo di sensi di colpa perché la politica la tiene lontana dalla figlia piccola, Ginevra, prodotta con la collaborazione del compagno autore Mediaset di quattro anni più giovane e mai sposato (però è curioso: tutti questi campioni della famiglia tradizionale ne hanno una irregolare, almeno davanti a Dio. Lei però ribatte che è colpa di lui, che non vuole sposarsi).
Adesso la scommessa più rischiosa: dire di no quando tutti dicono di sì. Comunque vada forse non sarà un successo, ma almeno l’idea piace a Federico Palmaroli alias Osho, uno dei rari umoristi che fanno ridere più dei politici: «Ho immaginato che Salvini andasse alle consultazioni con Draghi e dicesse: io la seguo dai tempi di Bankitalia. Mo’ s’è fissato, tra un po’ dirà: prima gli europei. Meloni invece rimarrà praticamente l’unica a fare opposizione. Se sta facendo bene o male non lo so, ma apprezzo la coerenza». Daje.