Nonostante tutto, all’età di 72 anni, dopo essere stato anche direttore della Biblioteca nazionale argentina, Manguel non si erge a difensore della tradizione contro i tempi moderni e apprezza audiolibri e podcast che, soprattutto durante la pandemia, possono farci compagnia: «Ci siamo sentiti soli e abbiamo avuto bisogno di sentire una voce viva nella stanza».
La voce è una presenza?
«Per quanto mi riguarda anche i libri scritti sono presenze fisiche, le presenze "reali" di cui parlava George Steiner. Ma per molti possono rimanere freddi».
Nell’antichità si leggeva ad alta voce, stiamo rivivendo quell’esperienza?
«Quando la scrittura fu inventata cinquemila anni fa, i segni incisi nelle pietre o nel fango diventavano allucinazioni uditive: sentivi la voce di ciò che stavi leggendo. Un fenomeno spiegato dallo psicologo Julian Jaynes nel libro Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza. All’inizio la scrittura era associata alla voce.
Era così anche nella cultura greca e romana antica».
Socrate insegnava camminando e dialogando con i suoi studenti.
«Il metodo peripatetico annullava le gerarchie tra maestro e allievi. Il filosofo racconta inoltre la leggenda del faraone egiziano: al dio Thot che voleva donare la scrittura, il faraone risponde che questa impoverisce la memoria. È solo nel IX secolo che la lettura diventa silenziosa».
Che cosa era cambiato?
«Fu un modo per addomesticare la voce. Si trattava di un’educazione, della creazione di una convenzione. Ma l’impulso originario della nostra specie era comunicare oralmente. Quel richiamo rimarrà: nelle storie raccontate ai bambini o nelle interpretazioni attoriali delle opere letterarie».
Dunque lei non è tra i detrattori degli audiolibri?
«Mi piace ascoltarli in macchina, soprattutto quando faccio viaggi lunghi. Devo ammettere però che a volte il tono mi disturba».
Troppo enfatico?
«Spesso non rispecchia la voce dell’autore. È capitato con il mio libro su Omero. L’accento della registrazione era nordamericano, così diverso dal mio che non riconoscevo il testo».
Una voce sbagliata può tradire il contenuto?
«Le faccio un esempio. All’attrice Mae West era stato vietato di scrivere sceneggiature per la radio, temendo lo scandalo. Finì a lavorare per un programma religioso in cui doveva leggere la storia di Adamo e Eva dalla Genesi.
Bene, letta da Mae West, la Genesi suonò così oscena e erotica che dovettero tagliare il programma».
Lei da ragazzo leggeva libri a Borges. Che intonazione usava?
«Borges non voleva che la mia interpretazione condizionasse il testo, esigeva una lettura piatta.
Leggevo senza alcuna intonazione, come fossi un computer. Ero una presenza passiva. Era lui a scegliere i libri, lui a decidere quando leggerli, lui a scegliere quando interrompere la lettura, lui a fare commenti».
Come vi eravate conosciuti?
«Ci incontrammo la prima volta nella libreria di Buenos Aires dove lavoravo dopo la scuola. Era con la madre, mi chiese se avevo voglia di leggere per lui. Era già cieco e voleva rivisitare i libri che già conosceva. In genere era la madre a leggerglieli, ma ormai era vecchia e stanca. Accettai con quel pizzico di arroganza dei ragazzi a quell’età. Ai miei occhi Borges era un gentile signore cieco con i capelli bianchi che volevo aiutare».
Una situazione a ruoli ribaltati.
In genere sono i nonni a leggere le favole ai bambini.
«Erano mia nonna e la tata a raccontarmi le favole. I personaggi di quelle storie sono tra i primi amici che ho avuto».
Nel libro "Mostri favolosi" ne cita alcuni.
«Alice è stata la mia amica migliore. Il libro di Carroll riflette la mia storia di bambino confuso in un mondo di adulti retto da regole incomprensibili. Quando poi da adolescente ho scoperto Gramsci, mi sono reso conto che molte sue idee le avevo già incontrate in Alice nel paese delle meraviglie. La Lepre marzolina che chiede ad Alice "vuoi il vino?" e poi le dice "non c’è vino", è l’immagine perfetta di una società che ti offre cose che non ha».
Domanda necessaria. I libri di carta scompariranno?
«I libri sono sopravvissuti alla distruzione di Pompei, vivranno ancora a lungo. Semmai è la tecnologia a non durare abbastanza. Molti strumenti del XX secolo sono già spariti. Le tecnologie cambiano, i libri restano».