la Repubblica, 7 febbraio 2021
Il Nepal smaschera i furbi dell’Everest
E niente. Loro in cima non ci sono mai arrivati. Narender Singh Yadav e Seema Rani Goswami, marito e moglie, alpinisti dell’Haryana, stato dell’India settentrionale che confina con il Punjab e Delhi, non avrebbero mai calcato nel 2016 la vetta all’Everest. Nonostante le foto di vetta presentate ai funzionari del ministero del Turismo nepalese per ottenere l’ambito certificato di scalata. Le immagini si sono rivelate false. Il capo della squadra di sherpa nepalesi, Naba Kumar Phukon, che li ha accompagnati, interrogato ha ammesso di averli riaccompagnati al campo base senza aver mai raggiunto gli 8848 metri della vetta. Sarebbero tornati indietro da poco più di 8200 metri, quando le loro bombole si sono esaurite e la guida li ha convinti a tornare giù. Niente certificato per la coppia e, anzi, sarà loro vietato riprovarci nei prossimi dieci anni.
Lo scorso agosto l’India avrebbe dovuto consegnargli il Tenzing Norgay National Adventure Award, il più alto riconoscimento per imprese “on land, sea and air” : 550mila rupie, quasi 6mila euro. A parte la fama, sarebbe stato un rimborso almeno parziale della somma spesa per l’ascensione, che tra permessi, guide e attrezzatura supera i 30mila.
Niente certificato, né soldi. E la patente di bugiardi. Che in montagna non è così rara da ottenere. Fino a qualche anno fa le ascensioni sulle vette di Himalaya e Karakorum erano “vidimate” da Elizabeth Hawley soprannominata “the Sherlock Holmes of the Mountaineering World” giornalista Usa stabilita a Kathmandu che, in base ai racconti e alle diapositive presentate, dava per salite o no le grandi montagne del mondo. Personaggi come Messner e Hillary hanno avuto per lei la massima considerazione. La signorina Hawley ha tolto ad esempio alla coreana Miss Oh il lauro di prima donna che ha salito l’intera collana dei 14 ottomila (non le è stata riconosciuta l’ascensione del Kangchenjunga e anche su Wikipedia il suo posto è stato preso dalla basca Edurne Pasaban), ma ha pure contestato il Lhotse, nel 1997, dei fortissimi italiani Sergio Martini e Fausto De Stefani: Martini c’è risalito, De Stefani ha rifiutato e nel suo curriculum gli ottomila sono rimasti tredici, uno in meno del totale.
Ma dopo la scomparsa di Elizabeth, nel 2018, è il caos. Proprio quando gli ottomila sono diventati uno dei maggiori introiti per i governi nepalese, cinese, indiano e pachistano, e fonte di ricchezza per le agenzie specializzate, un tempo solo nordamericane, oggi sempre più locali. Secondo il governo nepalese, le dichiarazioni false sono decine. Le foto contraffatte non sono peraltro una trovata recente. Frederick Albert Cook nel 1906 provò a dimostrare di aver salito per primo il McKinley (oggi Denali), il “tetto” degli Usa. Ma l’immagine pubblicata sull’Harper’s Monthly si rivelò alterata. La montagna di 6194 metri era infatti una modesta altura di roccia sporgente sul ghiacciaio, di appena 1800 metri.