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 2021  febbraio 07 Domenica calendario

L’enigma Navalny

Quando in Russia è tempo di torbidi, torna sempre d’attualità la doppia suggestione dello Zar buono e del Falso Dmitrij. Nella tormentata storia russa, la prima figura rimanda a Boris Godunov, il sovrano illuminato che governò dopo la morte di Ivan il Terribile, nel 1584, prima nell’ombra di Fjodor I e poi brevemente da Zar. La seconda rimanda invece a tre impostori, che tra il 1600 e il 1613 si accreditarono uno dopo l’altro come figli di Ivan, sfidando Boris e auto proclamandosi sovrani, prima di finire assassinati dopo regni brevi e scellerati. 
Quale delle due figure si rivelerà Aleksej Navalny ce lo diranno i prossimi mesi e anni. Nella narrazione del Cremlino di Putin, il dissidente più famoso del mondo è un nuovo Falso Dmitrij, venuto a ingannare il popolo russo e a usurpare il trono dello Zar. Ma con la sua tenacia e il suo coraggio, egli non fa mistero di voler indossare i panni di Boris Godunov, beniamino degli ultimi e profeta di una nuova era. 
Ma chi è veramente Aleksej Navalny, l’avvocato ultraquarantenne nei cui occhi azzurri brilla quello che Enzo Bettiza definiva «il lampo di follia proprio di tutti i russi bianchi»? Quale ruolo si prepara per lui, ora che una condanna senza veri motivi a 2 anni e 8 mesi di carcere mostra il nervo scoperto di Vladimir Putin? 
Figlio di un ufficiale dell’Armata Rossa, cresciuto nelle città militari chiuse agli stranieri intorno a Mosca, laureato alla prestigiosa RUDN, l’ateneo sovietico una volta intitolato a Patrice Lumumba e poi ribattezzato Università dell’Amicizia fra i Popoli, Navalny attraversa i tumultuosi Anni Novanta mostrando subito una passione per la politica. Nel 1999 aderisce a Yabloko, il piccolo partito liberale di Grigory Yavlinski, dal quale però verrà espulso nel 2007. Ragione della cacciata: la deriva del giovane attivista, sempre più attratto dal nazionalismo grande-russo, che culmina nella sua decisione di partecipare nel 2006 alla «Russkij Marsh», la marcia russa, tradizionale parata dell’estrema destra xenofoba, dove abbondano anche i saluti nazisti. Ci tornerà regolarmente negli anni seguenti. Pochi mesi dopo l’uscita da Yabloko, fonda il movimento patriottico Narod (Popolo). 
Il nazionalismo di Navalny va contestualizzato. Siamo all’inizio dell’era Putin, impegnato a restituire orgoglio e status internazionale alla Russia dopo il Far West seguito al crollo dell’Urss e le umiliazioni subite negli Anni Novanta. Uvazheniye, rispetto, è quello che Putin reclama dalla comunità internazionale. Ma Vladimir Vladimirovic, che considera la fine dell’Urss «la più grande catastrofe geopolitica del Novecento», vuole recuperarne l’eredità complessiva, compreso il carattere multietnico e imperiale. I nazionalisti invece, da Limonov in giù, chiedono la restaurazione della supremazia russa. Navalny è fra questi. Appoggia l’intervento militare del 2008 in Georgia. Pubblica video nei quali paragona i musulmani del Caucaso a scarafaggi da eliminare. Teorizza l’espulsione di tutti i georgiani dalla Federazione russa. Oggi Navalny concede che non userebbe più quelle espressioni. Ma nessuno gli ha mai sentito prendere le distanze dal suo nazionalismo. 
Eppure, all’inizio degli Anni Dieci, succede qualcosa. Il populismo carismatico di Navalny imbocca la strada della lotta alla corruzione, di nuovo dilagante dopo le iniziali azioni dimostrative di Putin contro gli oligarchi. In realtà, al posto dei vecchi come Berezovsky, Kodorkovsky e Gusinsky, lo Zar ha solo creato i nuovi predatori, come Abramovich, Usmanov, Rotenberg. Navalny indossa i panni del blogger, denunciando (con nomi e prove) tangenti e ruberie di denaro pubblico. Il suo Live Journal diventa popolarissimo. Nel 2010 apre RosPil, il sito che lo consacra nel ruolo di fustigatore del sistema, dove ancora oggi un gruppo di giovani giuristi passa al setaccio montagne di documenti di contratti pubblici, smascherandone irregolarità e trucchi illegali. Nel 2013 è tra i leader della protesta di strada che per la prima volta fa vacillare Putin. Comincia la lunga ordalia degli arresti, entra ed esce da Matrosskaya Tishina, il carcere di Mosca. 
I margini di ambiguità però rimangono. In Crimea, nel 2014, Putin gioca la carta patriottica della Reconquista. La penisola a maggioranza etnica russa, regalata da Krusciov all’Ucraina, viene riannessa alla Federazione. I suoi indici di popolarità schizzano in alto. I nazionalisti, Limonov e il politologo Alexandr Dugin in testa, si schierano con lo Zar. È l’ora della Novorossya (Nuova Russia). Navalny è di nuovo preda del riflesso nazionalista. E quando Aleksej Venediktov, direttore di Radio Echo di Mosca, gli chiede se lui restituirebbe la Crimea all’Ucraina, Navalny dagli arresti domiciliari risponde. «La Crimea non è un sandwich al prosciutto, che prima si prende e poi si restituisce così». 
Eppure, a sbagliare è ancora Putin, che usa le procure per impedirgli di candidarsi alle elezioni presidenziali del 2018. Vince facile lo Zar, con oltre il 76% dei voti. Ma corre di fatto da solo. E da quel momento Navalny può indossare i panni di primo oppositore. Lo aiuta la fine del miracolo economico putiniano, non più sostenuto dai corsi del petrolio e del gas: la classe media nata all’alba del nuovo secolo si ritrova impoverita, le condizioni di vita peggiorano per tutti, il malcontento cresce alimentato anche dalla rabbia per i facili arricchimenti. Il canale YouTube lanciato da Navalny non dà tregua al sistema, denunciando nuovi scandali e puntando sempre più in alto, come le rivelazioni sui loschi affari e le proprietà dell’allora premier Dmitrij Medvedev. 
Quello che succede dall’estate scorsa a oggi è storia nota. L’avvelenamento di Navalny in Siberia, l’atterraggio di emergenza a Omsk che gli salva la vita, il ricovero in Germania, le rivelazioni sul ruolo dei servizi russi nel tentativo di eliminarlo con il Novichok, il ritorno in Russia, l’arresto e lo scoop del video sul lussuoso palazzo con vista sul Mar Nero, che secondo lui apparterrebbe a Putin, visto da 100 milioni di persone. Infine, la condanna. 
Putin ha deciso di bruciare i ponti. Il leader del Cremlino, alle prese con la propria successione, è convinto che l’emarginazione a lungo termine di Navalny valga qualsiasi prezzo politico, siano nuove sanzioni occidentali o isolamento internazionale. Lo dimostra la crisi con l’Unione Europea, aperta in modo sprezzante venerdì, quando il Cremlino ha espulso tre diplomatici di Germania, Polonia e Svezia proprio durante la visita dell’Alto rappresentante Josep Borrell, venuto a chiedere la liberazione del dissidente. Forse è un calcolo giusto. Forse. Ma così facendo, lo Zar ha legittimato in Navalny il capo di un’opposizione, che non ha ancora massa critica, ma per la prima volta si estende sugli undici fusi orari. Soprattutto, è giovane. E con i Rolling Stones può dire: il tempo è dalla mia parte. La partita rimane aperta: Putin vuole trasformarlo in un Falso Dmitrij, ma i suoi adepti invocano in lui il nuovo Boris Godunov. Saranno i russi, ancora in maggioranza affezionati allo Zar, a decidere chi vedere in Aleksej Navalny.