Corriere della Sera, 7 febbraio 2021
Tutti i rospi da baciare nella politica italiana
«Nooo! Il Rospo nooo». Magari quelli che lo strillano non sono molti. E sembrano perdere fiato ogni giorno di più. Ma per l’ennesima volta, nel vuoto di una politica troppo a lungo rissosa e gonfia di odii personali, gli stomaci di tanti deputati, senatori, segretari di partito, assistenti e reggipanza sono tormentati da quel dubbio seminato sedici anni fa da un titolone del manifesto dedicato alla scelta se lasciar nascere o no il governo di Lamberto Dini, già direttore generale della Banca d’Italia e già ministro con Silvio Berlusconi: «Baciare il rospo?». Un dubbio che allora dilaniò la sinistra ma stavolta, se possibile, è ancora più divisivo e trasversale. Certo, tolti Di Battista, vari grillini e dissidenti sparsi, non è che abbondino quanti vedono Mario Draghi come un nuovo «Lambertow». È troppa la stima internazionale che circonda l’ex presidente della Bce per buttar lì battute o invettive volgarotte.
Il fatto è che i rospi da baciare, stavolta, sono tanti. Diffusi un po’ ovunque e reciproci. E se per la Boldrini è imbaciabile Salvini per Salvini è la Boldrini, se per Conte è imbaciabile Renzi per Renzi è Conte e così via. E magari il governo «di alto profilo» invocato da Mattarella da non identificare «con alcuna formula politica», nascerà bene salutato da tanti voti e tanti applausi, ma la moltiplicazione dei rospi, in un panorama politico avvelenato come il nostro, chiede davvero ai protagonisti delle varie fazioni uno sforzo supplementare.
Mica facile, adattarsi a un rospo. «Ah, sei tu, vecchio sciaguattone!», disse anche la principessa alla vista del rospo spuntato dallo stagno nella favola Il Principe ranocchio dei fratelli Grimm. Ognuno si riconosce coi propri simili. Come spiegò Voltaire, «chiedete a un rospo cos’è la bellezza, il bello assoluto, il to kalòn» e «vi risponderà che è la sua femmina, con i suoi due grossi occhi rotondi sporgenti dalla piccola testa, la gola larga e piatta, il ventre giallo, il dorso bruno». Insomma, le opinioni estetiche possono essere diverse. Figurarsi poi se si tratta di un rospo destrorso o sinistrorso.
Quando sul governo D’Alema nel 1999 Rossana Rossanda disse: «C’è chi parla di compro-messo storico, ma vogliamo scherzare? Davanti a Enrico Berlinguer stava Aldo Moro e un intero grande partito»
Certo è che appena spuntò quella domanda, nel 1995, l’immagine colpì al punto che quell’anno (che nel calendario cinese era l’anno del maiale), diventò per l’Italia intera l’«anno del rospo». «Col compagno Dini fino alla vittoria!», titolarono ridendo quei bricconi del settimanale satirico Cuore. Occhiello: «Dai cambi e dalle officine un solo grido». Sommario: «Finalmente un dirigente politico che crede nella lotta di classe: un’intera vita dalla parte dei ricchi». «Non baciamo più il rospo», sbuffò contestandolo sulla Giustizia l’avvocato Giovanni Pellegrino. «In molti si stanno accorgendo che il rospo non andava baciato. E in tantissimi lo stanno sputando», attaccò Franco Giordano di Rifondazione Comunista. «Baciava Sharon Stone, ora bacia il Rospo», scrisse il Giornale dedicando un ritratto al banchiere del bel mondo Mario D’Urso. E insomma le cose presero una piega tale che a un certo punto la trasmissione tv «Non dimenticate lo spazzolino da denti», condotta da Ambra Angiolini e Gerry Scotti, mise in palio una vacanza in Australia per chi avesse superato tre prove: buttarsi dalla finestra su un materasso, uno strip-tease quiz e baciare un rospo. Finché un giorno si impennò la moglie del protagonista, Donatella Pasquali Zingone Dini spiegando che no, Lambertow non era un rospo: «Resta sempre il meglio fico del bigoncio». Ma si sa, il tempo vola. E già nell’ottobre 1998, poche settimane prima che il gruppo musicale Quintorigo, ispirato dall’attualità, portasse a Sanremo 1999 una canzone dal titolo «Rospo» (Baciami / sì, ho detto baciami / voglio tornare rospo!») scoppiavano a sinistra nuovi dubbi e frustrazioni per altri rospi da ingoiare per fare nascere il governo di Massimo D’Alema pieno, dopo l’addio di rifondazione e la caduta di Prodi, di precursori dei «responsabili» accolti in Parlamento al grido di «Puttani!» Commento da sinistra di Rossana Rossanda: «C’è chi parla di compromesso storico. Ma vogliamo scherzare? Davanti a Berlinguer stava Aldo Moro e un intero grande partito, davanti a D’Alema c’è Cossiga con una squadretta di vecchie volpi cattoliche transfughe da tutte le parti». Vecchie volpi da baciare come vecchi rospi. Quali «gli straccioni di Valmy» radunati dall’ex picconatore che ridacchiava: «I più a sinistra dell’Udr siamo io, Mastella, Scognamiglio e Romano Misserville». Uno che si vantava di essere mussoliniano e di avere alla parete un ritratto del Duce. Miracoli della Pregiata Lavanderia Rossa, l’unica che ai tempi smacchiava passati imbarazzanti che mai sarebbero riusciti alle lavanderie destrorse.
Riuscirà anche questa volta ciò che resta della sinistra italiana che già ha baciato il rospo grillino (tra gli insulti un senatore si era spinto a dire perfino: «Io con gli assassini non faccio nessuno tipo di accordo, perché li considero gli autori della strage e del genocidio che sta avvenendo in Campania») a baciare il rospo nero-verde del Matteo leghista e quello fucsia del Matteo italvivo? E riusciranno i leghisti ad applaudire la nascita del nuovo esecutivo insieme con quelli di LeU che accoglieranno l’appello di Mattarella? E tutti gli altri che in questi anni si sono scambiati le peggiori offese mai viste nella storia parlamentare? Riusciranno i pentastellati a non mettersi di traverso ai forzisti guidati da quel Silvio Berlusconi da sempre chiamato «lo psiconano pluricondannato e amico dei mafiosi»?
Oddio, si dirà, pur di tenere in vita il governo di Giuseppe Conte ne hanno già baciati tanti, di rospi. E altri hanno già detto di essere disposti a baciarne. Così come, sul fronte della destra, si sono adattati in fretta alla svolta nemici storici di Mario Draghi come Alberto Bagnai che una manciata di anni fa, a un convegno all’Europarlamento, raffreddava gli entusiasmi dei sovranisti dicendo: «Non c’è bisogno di applaudirmi perché è banale… è banale, tutto quello che dirò oggi sono banalità, qualsiasi economista lo sa, credetemi, credete a me, non a Mario Draghi!» I dubbi sul futuro, però, restano...