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 2021  febbraio 07 Domenica calendario

Il Carnevale senza il Carnevale

Erede diretto ma ribaldo e smemorato dei riti ancestrali di buon augurio per allontanare i mali del mondo e per assicurare al popolo fertilità, prosperità e buoni raccolti, Carnevale è andato via via caricandosi nel corso dei secoli di attributi e significati eterogenei, spesso anche del tutto spuri, come la storiella arcinota del «toglier la carne» in anticipazione della quaresima a venire, o il miraggio di un «mondo alla rovescia», dove i servi comandano e i padroni obbediscono – il che, dopo l’estinzione degli antichi Saturnali, non è mai più successo – oltre ad alcune altre giocose fandonie sulla cacciata dei turchi o dei saraceni, sull’abolizione dello ius primae noctis e la condanna del don Rodrigo di turno, o sul lascito cospicuo di risorse alimentari da parte di un magnate osannato, che fanno qua e là da confuso pretesto a queste giornate di giubilo inspiegabile e un po’ forsennato.
La penultima di queste trasformazioni prende le mosse da due città quasi dirimpettaie, Nizza e Viareggio, che nello stesso 1873, alla vigilia della Belle Époque, daranno la stura a una voga intercontinentale di parate cittadine tanto sgargianti e fracassone quanto completamente fatue nei loro trionfi di cartapesta. E per ultima, nei nostri anni, arriva una proliferazione planetaria di carnevali rifondati (quello di Venezia, a far data dal 1979!) o creati ex novo anche in piena estate (Notting Hill, 1965) per supplire alla diffusa domanda di una religione popolare autogestita, senza credo e senza Dio, volta al celebrarsi di valori imprecisati, ma del tutto terreni – il ballo, il riso, la crapula, l’accozzare dei corpi – eppure nondimeno ammantata di una sua sgangherata ritualità e di un suo indicibile mistero.
Quest’anno invece, a dispetto dell’ultimo grande abbrivio, non si farà niente.
In etologia, si sa, l’esperimento di privazione serve per distinguere nel comportamento animale che cosa vi sia di appreso e che cosa invece c’è di innato e di automatico. Quello di quest’anno, rispetto al Carnevale, lo possiamo considerare un po’ come un gigantesco esperimento di privazione. E se durante l’emergenza Covid non si è parlato altro che di movida e di aperitivi come beni primari irrinunciabili, allo stesso modo, ora che è chiaro quanto possano essere tristi, squallidi e lunghi questi mesi d’inverno, e tanto peggio se con la pandemia, il Carnevale sta riemergendo quale necessità impellente, facendoci ancora una volta occhiolino da chissà dove con le sue seduzioni sottili, con il suo lucore ineffabile.

Così, in molti luoghi ci si sta organizzando con piccoli palliativi: a New Orleans, per esempio, si riaddobbano case e giardini con mascheroni e pupazzi, come in una sfilata del Mardi Gras muta e immobile; oppure in tanti altri luoghi si tengono incontri virtuali, scambi di festosità in streaming tra gruppi lontani, come avviene per esempio a Binche nel Belgio, sede del maggiore museo europeo del settore, oppure da noi a Malé (Trento), a Ronciglione (Viterbo), a Montoro nella provincia di Avellino, dove si terranno gli «Stati Generali della Zeza». La Zeza, per chi non lo sapesse, è la moglie di Pulcinella, ed è divenuto in parte dell’area campana il nome proprio del Carnevale: salvo verificare che gli stessi personaggi, con gli stessi costumi ma con nomi diversi si trovano magari a Valfloriana nel Trentino, e che tanti altri carnevali convenuti a questo festival virtuale, dalla Valle d’Aosta agli Abruzzi e all’Irpinia, condividono con la Zeza il tema nuziale, gli elementi specifici della sua ritualità festosa, il ballo, la musica, il giro di questua, le frittelle. E in questo vi è certamente del buono, perché in questa sospensione forzata, il popolo del Carnevale, incontrandosi nell’asettica ubiquità di cyberlandia, potrà prendere una qualche coscienza di un’unità di intenti, di una radice culturale comune, di un idem sentire, che finora gli è stata concessa solo a intermittenza, anche per elementari motivi di costo. 

Torniamo così con la memoria al martedì grasso del 2020 a Viareggio, il 25 febbraio. Con qualche esitazione, vista l’epidemia che già incombe, gli organizzatori si sono decisi a dare il via all’ultimo dei sei grandi corsi mascherati, quello più importante, con cui il carnevale si chiude. Vince Home sweet home: una parodia del Mago di Oz cinematografico, con tanto di Spaventapasseri, Uomo di Latta e Leone codardo, solo che al posto di Dorothy, invece di Judy Garland, c’è una Greta Thunberg alta sei metri, che tiene fra le mani il nostro pianeta come una palla, in un’apoteosi di cartapesta della buona coscienza ecologica. Nella grande discoteca a cielo aperto che si snoda lentamente davanti al mare, tutto sembra andare a gonfie vele, ma lo stesso nella magica serata della Versilia serpeggia un po’ di inquietudine, un po’ di fretta; c’è meno gente del solito e qualcuno, nell’incredulità generale, indossa già la mascherina. Come sempre, alle otto di sera è già tutto finito, e i carri a luci spente, tirati da potenti trattori, se ne tornano mestamente verso gli hangar. La quaresima che sta per cominciare, la più lunga che la storia ricordi, in quel 2020 non finirà a Pasqua, ma durerà tutto l’anno, per tracimare nell’anno 2021, e chissà fino a quando.
Improvvisamente il mondo, infettato da un virus venuto chissà da dove, e in ordine a chissà quale malefico spillover, è tornato a essere lo stesso luogo ammorbato e ostile che, per i nostri antenati, fino a un certo momento della storia è sempre stato. A sorpresa, riscopriamo il sentimento della necessità periodica di uno sforzo generale di tutti per la sanificazione e l’abitabilità del mondo, uno sforzo che, se non riesce a essere efficace, dovrà essere almeno ritualmente persuasivo.
Così, con questa voglia di Carnevale sembra oggi di essere tornati alle origini, alla scaturigine prima del nostro rito mascherato, in un mondo ammalato per definizione, insidiato da pesti e carestie, dove piccole e grandi schiere di uomini carichi d’angoscia devono periodicamente farsi coraggio, uscire tutti insieme, magari in maschera per rendersi più importanti, e fare chiasso con i campanacci, saltare, ballare, smanacciarsi a vicenda, celebrare nozze bislacche, alzare il terreno con l’aratro, buttare coriandoli colorati di qua e di là, e con tutto questo baccano rinverdire, rinvigorire e tenere alto il proprio diritto alla vita.