Corriere della Sera, 6 febbraio 2021
Settanta anni di Made in Italy
Brillante intuito, strategie di marketing e amor di Patria. L’elisir con cui il marchese Giovanni Battista Giorgini impose lo stile italiano nel mondo. Alto, slanciato, occhio chiaro e lampeggiante, sorta di principe di Salina, ma del secondo Dopoguerra, questo nobiluomo lucchese dallo stile rinascimentale, più somigliante «a un direttore d’orchestra che a un manager della moda», come lo descriveva l’editore americano John. B. Fairchild, anima di Women’s Wear Daily, alla fine degli anni’40 ha l’idea di dar vita alle prime sfilate di moda italiana. Lo fa tra le mura di casa propria, Villa Torrigiani a Firenze, in via dei Serragli 144: la data del debutto il 12 febbraio 1951, vi prendono parte nove sartorie d’alta moda di Roma e Milano e due boutique. Il successo della prima breve fashion week, antesignana di quelle di oggi e non digitali, enorme.
Un anno dopo il 22 luglio 1952 si apre già il quarto Italian Hight Fashion Show, cornice ancor più prestigiosa: la Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze. Oggi il luogo consacrato come culla del made in Italy, in realtà tutto prende vita con la sfilata a casa Giorgini. Il marchese vi porta cinque compratori Usa di importanti department stores e tutti provenienti da Parigi, all’epoca capitale assoluta della moda dopo l’avvento nel 1947 del New Look di Dior. Li conquista, compie un miracolo.
Nel 2021 sono i 70 anni dall’evento. Lo stile italiano diventato leggendario, immenso il contributo alla moda internazionale. Neri Fadigati, nipote di Giorgini, presidente dell’Archivio che documenta l’attività del nonno (da cui sono tratte le foto pubblicate), ha organizzato il prossimo 12 febbraio la conferenza internazionale on line: Giorgini: from Artistic Craftsmanship to Hight Fashion, Italian Soft Power. «Antesignano di strategie di impresa, portavoce nel mondo del nostro heritage – dice Fadigati —, Giorgini ha acceso la scintilla di quella che oggi è l’essenza del made in Italy: incontro tra stile, artigianalità e saper fare. Ha distillato in un elisir, il raffinato gusto italiano dalle radici rinascimentali, trasformato in quello che poi è stato definito all’estero glamour»: nel 2014 Londra (e non l’Italia) celebrò made in Italy e il suo ideatore con la storica mostra The Glamour of Italian Fashion al Victoria & Albert Museum . L’anniversario di quest’anno cade in un momento carico di analogie. Nel 1951 l’Italia cercava di curar le ferite aperte dal conflitto mondiale, una rinascita; anche oggi lo sguardo è rivolto verso il futuro, più sfocato, dove le istituzioni dovrebbero impegnarsi a salvaguardare il composito settore del made in Italy, tra i cardini dell’economia del Paese.
Giorgini incarna un’altra dote italica: il talent scouting. Sempre nel 1951 lancia il poco più che ventenne Roberto Capucci, oggi noto come lo Scultore della seta: «Gli devo tutto. Mai dimenticato. Come i suoi consigli – ricorda Capucci —. Lavorare in libertà senza condizionamenti, di mercato o timori di non essere alla moda»; invita nel 1962 a Firenze Valentino; “assolda” un giovane Beppe Modenese, il Primo ministro della moda italiana scomparso nel 2020.
Nel 1971 Giorgini muore (il convegno ricorda i 50 anni dalla scomparsa), lascia in eredità un Sistema in grado di muovere un enorme giro d’affari. Il Marchese aveva seminato bene, a lui si deve l’heritage made in Italy. Profetiche le sue parole negli anni della Sala Bianca «Il nostro compito è mettere in moto le cose, rinvigorirle con una dedizione senza riserve. Dobbiamo pensare ai giovani. Domani, dovranno giustificare questa nostra fatica e sentirsi spronati a migliorarla».