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 2021  febbraio 06 Sabato calendario

QQAFA20 Riscoprire le poesie di Carlo Michelstaedter

QQAFA20

Chi può non amare Carlo Michelstaedter? Probabilmente gli «adulti», coloro che hanno ormai digerito una vita in cui le parole non esprimono più verità ma interessi, consolazione, insomma una vita in cui «gli uomini se non riusciranno a intendersi certo giungeranno a intendersela». Michelstaedter ha dalla sua tutta la vitalità e l’eroismo della giovinezza, qualità che unite al talento ce lo fanno apparire come un profeta che parla in nome di un assoluto, sia quello di Cristo o di Socrate, e che come questi ha vissuto una morte prematura. Un filosofo, un poeta, un giovane uomo che emanava fascino con chiunque lo avvicinasse, dalle testimonianze degli amici più cari. A ciò uniamo quel cognome così esotico per l’Italia dell’epoca, la ribellione a ogni falsa apparenza, la difficile collocazione della sua voce, soprattutto lo spirito nuovo, lo stesso che ha fatto dire a molti quanto Michelstaedter sia stato precursore di qualcuno o di qualcosa, ed ecco che il pacchetto del genio è pronto.
Naturalmente Michelstaedter è molto di più. Perché è vero, molti elementi possono trarci in inganno quanto a carisma spettacolare, ma il punto è che non si trova nulla di così spettacolare nel filosofo goriziano, è tutto molto autentico, addirittura troppo, tanto da travalicare gli effetti irresistibili che possono colpire solo le giovani menti. Ce lo dice la sua opera principale, la mai discussa tesi di laurea La persuasione e le rettorica, ma ce lo ripetono tutti gli scritti che vi si aggiungono, gli appunti, gli epistolari, quel Dialogo della salute in cui Carlo - giovane Holden ante litteram - va dritto all’ipocrisia delle convenzioni. E ce lo dicono le Poesie, di nuovo in libreria per Adelphi sempre a cura di Sergio Campailla, con una porzione in più di inediti. E qui siamo costretti a fare un passo indietro, perché dobbiamo retrodatare l’incipit dell’opera in versi. Se finora corrispondeva al 1905, la nuova edizione inserisce i primissimi testi, quelli del 1900, più probabilmente 1901. Per la maggior parte poesie d’amore, testi in cui Michestaedter ci restituisce tutti i suoi quattordici, quindici, diciassette anni. Tutto quello che della sua vita conosciamo tramite le testimonianze e gli epistolari, qui emerge vistosamente.
Era nato nel 1887, ha vissuto a Gorizia e Firenze, intorno a quei vociani che includevano altri fratelli mitteleuropei, Slataper e Stuparich, abitati dalla stessa tensione morale. Disegnava benissimo, amava lo studio, i convivi e le donne. Amava la musica, Puccini e Beethoven. Ed era attraente, non solo intellettualmente: «Corpo agile, forte, bello: era uno dei più intrepidi nuotatori dell’Isonzo», scriveva di lui l’amico Gaetano Chiavacci. Ed è (anche) questo che emerge da quelle prime prove poetiche, la prestanza e l’esuberanza, le corse in bicicletta, i primi passi di un canzoniere amoroso ancora scevro di un pessimismo più articolato, c’è insomma ancora l’ingenuità. Ma un’ingenuità relativa, concettualmente e stilisticamente. Possiamo leggere queste prime poesie grazie a un dono che Sergio Campailla ha ricevuto da Anna Benedetti (nipote di quella Maria che salvò gli scritti dalle retate della Gestapo in casa della famiglia ebraica Michelstaedter). Si tratta dei quaderni originali trascritti dalla sorella Paula, contengono poesie, frammenti, recensioni, prima donati a Maria Benedetti per ringraziarla dell’eroico gesto di recupero, poi offerti dalla nipote a Campailla. Da qui giungono gli inediti presenti nel nuovo Adelphi. Ed è quindi un Carlo inedito quello che il curatore ci restituisce. Un Carlo adolescente che come tutti i coetanei si rivolge agli amici più intimi e alle prime fiamme sentimentali. Testi dedicati all’amico goriziano Enrico Mreule, parole alte, di giustizia e libertà.
Slancio adolescenziale? Indubbiamente, ma è anche vero che Michelstaedter, se pur ancora provvisto di leggerezza, sa ricordare a giovani e adulti che significhi il dolore di un’intuizione: la consapevolezza dei futuri ideali spezzati, l’assoluto che non esiste. È già tutta una lotta per il giovane Carlo (con se stesso, con l’amore e con il mondo), così nel timbro carducciano di Ruppe i vetusti ceppi della fede, dove per quell’idea di combattimento può rinvenire alla memoria le armi, gli amori che dalla tradizione trecentesca giungono al poeta passando attraverso Ariosto.
In fondo anche Ariosto aveva un fine comune e preciso: dirci quanto gli uomini siano creature imperfette. Potrebbe essere proprio questo l’inizio di quel canzoniere amoroso che in un secondo tempo si risolve in Se camminando vado solitario, l’ode saffica in cui si affacciano Dante, Petrarca, forse per la prima volta Leopardi, con echi non tanto nascosti dal Canto di un pastore errante per quella «ribellione / all’universo», quella aspirazione alla completezza che Leopardi racconta alla Luna. Ma quest’ultima fa parte delle poesie più mature. E delle prove ultime fanno parte anche quelle dedicate ad Argia Cassini (la ribattezzata Senia delle poesie). Prima ci sono state le altre, amori liceali - di cui si sa poco o nulla, come Elsa - da dove nascono temi romantici fatti di senso tragico e voluttà.
Non è ancora in atto quella caduta dei miti, quella crisi del contemporaneo, quella mediocrità morale a cui si oppone con il tentativo di un uomo nuovo, con uno sguardo eroico come quello di Machiavelli, la consapevolezza kafkiana che solo il singolo, e non altri, possono individuare il senso del proprio esistere (come non ricordare Davanti alla legge?) e il pirandelliano senso della falsità delle apparenze. Oltre alla presenza di Ibsen e Nietzsche. Tutto ciò si svilupperà nelle poesie più mature, con ineccepibile coerenza tra prosa filosofica e verso. In queste poesie giovanili il germe già c’è, c’è già quella «malattia dell’assoluto» che pochi autori contraggono per ogni secolo e che, certo, per amore della vita può condurre alla morte.
Ma la poesia resta, parla a tutti e come vuole. A Gramsci, sotto i bombardamenti del 2 aprile 1916, non viene altro in mente che Il canto delle crisalidi di Michelstaedter e ci legge una speranza per il futuro. Un futuro senza frontiere e barriere. «Versi che martellano la testa», scrive. Come dire, sempre la morte in Michelstaedter trabocca di vita.