La Stampa, 6 febbraio 2021
Il mondo scivola verso l’autoritarismo
La pandemia di coronavirus ha accelerato il declino della democrazia nel mondo, una tendenza che dura da un quindicennio ed è stata confermata dalla classifica annuale dell’Economist Intelligence Unit per il 2020. L’indice, nato nel 2006, monitora 167 Stati e territori nel mondo e ha registrato passi indietro nella maggior parte. Il dato centrale, il «cigno nero», è stato il Covid-19. La risposta degli Stati all’emergenza ha accentuato gli aspetti autoritari e ha fatto emergere come «vincenti» regimi che esercitano un controllo maggiore sulle proprie popolazioni, a partire dalla Cina, mentre i Paesi occidentali hanno dato risposte tardive e almeno all’inizio meno efficaci. Il risultato è che i due terzi degli Stati hanno visto diminuire il loro indice. Il livello globale è sceso a 5,37 su una scala di 10, il livello più basso dal 2006, e oggi soltanto l’8,4 per cento del mondo vive in una «piena democrazia», un terzo è sotto una tirannia.
Mosca autoritaria
Gli Stati sono divisi in «piene democrazie», «democrazie imperfette», «regimi ibridi», «regimi autoritari». Il declino ha riguardato anche la regione dell’Europa occidentale, con la Francia e il Portogallo che sono passati da «piene democrazie» a «imperfette», cioè con un voto sotto l’8. Una situazione che riguarda anche l’Italia, e gli Stati Uniti d’America, in leggero peggioramento. L’impatto della pandemia si è però fatto sentire molto di più nelle regioni dell’America latina e dell’Europa orientale. I due blocchi contengono soltanto tre «piene democrazie» e metà delle «democrazie imperfette» del mondo (26 su 52). Nell’Europa orientale ci sono sette regimi autoritari, comprese la Russia, con uno score di 3,31, e la Bielorussia. Le elezioni contestate a Minsk hanno però portato a un paradosso: il rinnovato impegno civile e la maggiore diffidenza nei confronti dell’uomo «forte», il presidente Alyaksandar Lukashenko, hanno fatto salire, seppur di poco, l’indice, a 2,59. Al contrario, a Mosca, le «riforme costituzionali» volute da Vladimir Putin per restare al potere oltre il 2024 hanno avuto l’effetto contrario.
Il crollo di Hong Kong
«La democratizzazione della Russia è ancora molto lontana», conclude il rapporto, pur se lo score resta superiore a quello della Cina. Pechino ha visto un costante declino dall’ascesa di Xi Jinping al potere, ed è passata dal 3,00 del 2012 al 2,27 dell’anno scorso. Il rapporto dell’Economist sottolinea però come le chiusure draconiane decise a Wuhan e poi in quasi tutto il Paese, con 760 milioni di persone chiuse in casa, hanno evitato che la pandemia facesse molte più vittime a livello mondiale ed «è difficile contestare che l’esperimento di lockdown in Cina è stato un successo», anche se «pochi pensano che si possa applicare altrove». Le uniche democrazie che ci sono riuscite sono altri Paesi asiatici come Corea del Sud e Taiwan, che hanno visto addirittura migliorare il loro indice. Nel resto della regione «la risposta al Covid-19 ha portato a un peggioramento», a cominciare da Hong Kong e il Myanmar, l’ex Birmania, in piena involuzione anche per problemi interni. Hong Kong è scesa da «democrazia imperfetta» a «regime ibrido», mentre la Corea del Nord resta il Paese più tirannico al mondo, a quota 1,08.
Il Medio Oriente
Nella cartina, che va dal blu al rosso, l’intero Medio Oriente è in zona rossa o arancione, e anche la Turchia è in una situazione «ibrida», in zona gialla. Ankara è passata da un voto di 5,70 nel 2006 al 4,48 dell’anno scorso. La regione ha visto declinare la democrazia, sottolinea il rapporto, «dal 2012, quando i miglioramenti seguiti alla Primavera araba sono stati invertiti: la regione soffre una concentrazione di monarchie assolute, regimi autoritari, conflitti» ed è l’area «con l’indice più basso, con sette Paesi fra gli ultimi venti». Una delle peggiori performance è quella del Libano. Nel 2006 era al terzo posto nella regione, dietro Israele e Palestina, con un discreto 5,82, ora è sceso al quarto, sorpassato anche dal Marocco, con un pessimo 4,16. Il caso positivo è invece la Tunisia, che dopo la rivoluzione dei gelsomini, è passata dal 2,79 del 2010 al 6,59 dell’anno scorso ed ora seconda. L’Egitto ha fatto il percorso inverso, dal 3,95 del 2011 al 2,93. Agli ultimi posti restano l’Iran, 2,20, l’Arabia Saudita, a 2,08, e la Siria, a 1,43.