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 2021  febbraio 06 Sabato calendario

Che sciamani questi scienziati

Quando si parla di atomi, il linguaggio si può usare unicamente in forma di poesia. Lo diceva il grande genio Niels Bohr al futuro genio Werner Heisenberg durante le loro passeggiate in montagna nell’estate del 1922. È proprio camminando insieme al maestro, come portato dal ritmo della sua parola e dalle spirali del suo pensiero, che il giovane Werner ha la prima, vertiginosa, intuizione della radicale alterità del mondo subatomico. Vale a dire che l’infinitamente piccolo è insondabile, ineffabile. Almeno con gli strumenti consueti della scienza.
Il fisico, come il poeta, non deve descrivere i fatti del mondo, ma creare metafore e connessioni mentali. Per illuminare quei luoghi che non hanno luogo, bisogna inventare un’altra lingua. Smettere di capire il mondo come lo si è capito fino a quel momento e avventurarsi verso una forma di comprensione assolutamente nuova. Questo viaggio al termine della notte accomuna i grandi protagonisti della scienza moderna ed è proprio sulle loro tracce che si è messo Benjamin Labatut nel suo bellissimo Quando abbiamo smesso di capire il mondo, appena uscito da Adelphi, ricostruendo degli itinerari che non si propongono quasi mai di arrivare ad una conclusione. Non seguono una linea retta, ma scelgono di perdersi nei labirinti di linguaggi inauditi e di visioni accecanti. Del resto, diceva Walter Benjamin, il labirinto è la via di chi teme di arrivare alla meta. E i grandi scienziati raccontati da Labatut temono tutti di arrivare alla conclusione, tant’è che molti di loro si autodissipano, con un sacrificio di sé che ha un po’ della sprezzatura aristocratica e un po’ dell’annichilazione mistica.
Come nel caso del grande matematico giapponese Shinichi Mochizuki che nel 2012 pubblica sul suo blog quattro articoli che contengono una delle congetture più importanti della teoria dei numeri, conosciuta come a+b=c. Nessuno, precisa Labatut, è stato finora in grado di comprenderla. La dimostrazione di Mochizuchi non assomiglia a nulla di conosciuto. Viene analizzata dal fior fiore dei matematici ma la conclusione è sempre la stessa. «È impossibile capirla». Qualcuno la paragona ad un paper proveniente dal futuro. Ed è proprio questo il centro della questione. Per capire certi voli del pensiero, scrive lo stesso Shinichi, bisogna disattivare gli schemi di comprensione che l’educazione scientifica ha installato nei nostri cervelli. In un certo senso la sfida di questi esploratori dell’infinità del reale assomiglia a quella di certi grandi esploratori dell’infinità del nulla divino. Come San Juan de la Cruz, il mistico spagnolo che vede quello che nessun altro riesce a vedere, calandosi nelle viscere di una oscurità di cui è possibile scoprire il segreto solo a condizione di andare al di là delle consuete procedure della conoscenza. Per cui tanto più in alto si sale, tanto meno si può comprendere, se non facendo tabula rasa di ciò che si sa. «Così segreta è la cosa che rimasi balbettante, ogni scienza trascendendo» dice il santo. In realtà i lampi che illuminano lanoche obscura di Juan si rivelano sorprendentemente vicini alla struttura delle rivoluzioni scientifiche. Non a caso i protagonisti delle storie di Labatut hanno tutti illuminazioni ed estasi notturne che assomigliano a rivelazioni iniziatiche. Abbaglianti, indicibili, immemorabili. I colleghi di Mochizuki ricordano una notte di delirio a Princeton, in cui lo scienziato balbetta, proprio come il mistico spagnolo, e dice di vedere «il cuore del cuore», una strana entità che un altro genio assoluto come Alexander Grothendieck ha scoperto al centro del mondo matematico e che lo ha condotto alla pazzia. La mattina seguente il ricordo di quella visione è completamente svanito. E lo stesso Heisenberg nel 1925 mentre sta lavorando su questioni algebriche sempre più astratte, vive delle esperienze che fanno pensare ad allucinazioni sciamaniche. Nel cuore della notte, la sua mente crea strane connessioni, racconta Labatut, «sentiva il suo cervello diviso in due: ogni emisfero lavorava per conto proprio, senza comunicare con l’altro. Le sue matrici, che violavano tutte le regole dell’algebra tradizionale obbedivano alla logica del sogno dove una cosa può essere molte altre». A seconda del criterio con cui si moltiplica, tre per due fa sei, ma due per tre può fare dieci. Come dire che invertendo l’ordine dei fattori il prodotto cambia, eccome! In realtà, come diceva Karl Schwarzschild, l’astrofisico tedesco cui è dedicato un bellissimo capitolo, «solo una visione di insieme, come quella di un santo, di un pazzo o di un mistico, ci permette di decifrare la forma in cui è organizzato l’universo», quel cuore della luce che un poeta come Thomas S. Eliot e un filosofo come Ludwig Wittgenstein identificano con il silenzio. Ma è un silenzio eloquente, una foresta di segni muti in cui prende forma la parola del futuro.