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 2021  febbraio 06 Sabato calendario

Dante, non solo Beatrice

Sarebbe stato bello, intanto, che l’autore potesse vederlo, sfogliarlo. Perché è uno di quei rari libri la cui lettura è davvero una questione, oltre che di vista, di tatto. Marco Santagata, scrittore e italianista fra i nostri maggiori, se ne è andato nell’autunno scorso, e ha lasciato in eredità Le donne di Dante ( il Mulino), un volume, riccamente illustrato, sulla costellazione di figure femminili della biografia dantesca. Santagata muove dalle «donne di casa Alighieri» – la madre, Bella, di cui non abbiamo praticamente notizie ( «Della sua infanzia Dante non parla» ); la sorella maggiore; la moglie Gemma – a quelle evocate e ritratte nell’opera. Una figura in ombra, come la figlia Antonia, viene raccontata da Santagata cercando di assommare deboli indizi: «Compare una sola volta e di sfuggita nell’atto di acconsentire alla vendita di un terreno nel 1332». Che si fosse “monacata” dopo la morte del padre – con il nome di Beatrice? – lo sappiamo perché Boccaccio le consegna, da parte di una confraternita fiorentina, dieci fiorini d’oro. «Il profilo di un padre che è riuscito a farsi amare» coglie, comunque, Santagata in controluce, smarcandosi dall’ «idea vulgata di un Dante distaccato dalla quotidianità, immerso in pensieri sublimi e fantasie poetiche». Che pure lo occupano fin dall’estrema giovinezza di lirico d’amore: sentimenti fittizi o strumentali si annodano per vie misteriose e spesso indecifrabili alla vita cosiddetta vera. Poi Fioretta, Violetta o Lisetta – figure sfuggenti delle Rime – svaniscono al manifestarsi di quella troneggiante Bice/ Beatrice che «condivide il destino delle donne celebrate dai poeti medievali, e dagli stilnovisti, di essere senza corpo». Vestita di «nobilissimo colore», la donna che Dante incontra bambina ha qualcosa di fantasmatico – intangibile, benché della sua breve vita abbiamo diverse notizie. Per esempio, il matrimonio con Simone dei Bardi, che le consente – ragazza di famiglia benestante – di salire qualche ulteriore gradino della buona società fiorentina. Ma a voler sovrapporre la persona storica al personaggio letterario si finisce comunque fuori strada – e bisogna, piuttosto, affidarsi alla scrittura dantesca che la rende figura prodigiosa, «un miracolo – scrive Santagata – nel senso più ovvio di “prodigio”, “monstrum”: un essere eccezionale che suscita meraviglia e testimonia in terra la perfezione del cielo».
In quanto miracolo e pura luce, dello spessore fisico e psicologico si può forse fare a meno; e accontentarsi di quel saluto, «uno degli assi portanti della narrazione», diventato proverbiale, e ancor più di uno sguardo – tutt’altro che innocente. «Un saluto gratuito, pronunciato di propria iniziativa: in altre parole, non in risposta a un saluto di Dante, al quale il racconto non fa cenno, ma come gesto libero e spontaneo. Beatrice dunque agisce in modo doppiamente trasgressivo. È il gesto di una dama che assume l’iniziativa». Non al punto da assecondare la fantasia di un grande poeta novecentesco come Giovanni Giudici – «Beatrice sui tuoi seni io ci sto alla finestra» ( O Beatrice, 1972) – ma di certo rivelandosi «superiore agli obblighi sociali: un essere capace di donare amore in modo disinteressato, con generosità e senza remore».
Il volto, comunque, gliel’hanno inventato gli artisti; e il volume offre una suggestiva galleria: le labbra carnose e lo sguardo profondo nelle tele quasi ossessive di Dante Gabriel Rossetti, l’espressione compunta di un quadro di Henry Holiday, con Dante che contempla la donna a pochi passi dal Ponte Vecchio; la Beatrice stilizzata e contrita di un dipinto di Odilon Redon. Forse preoccupata – come Santagata spiegava in un altro illuminante saggio suDante, L’io e il mondo (2011) – di essersi levata troppo «tardi al soccorso» del suo innamorato, caduto nel peccato e prossimo alla morte.
Nel «romanzo di Beatrice», come l’autore titola quest’ampio capitolo, il grande miracolo è laico, «nulla ha a che vedere con il soprannaturale»: la donna al centro della Commedia riesce ad abbattere il pilastro ideologico che vuole inseparabili amore e nobiltà d’animo, e dimostra di poter «risvegliare l’amore anche nelle persone nelle quali, per la loro bassezza morale, non dovrebbe sussistere nemmeno la possibilità che ciò accada».
Nell’appassionato percorso di Santagata c’è spazio anche per molte donne «di cui si parlava a Firenze» al tempo di Dante: Francesca da Rimini, Piccarda, Pia. Che fosse «de’ Tolomei» non è sicuro, ma sono bastati sette versi a fissarla nella memoria del mondo per gli ultimi settecento anni. La sua vicenda rimane oscura, ma è proprio «dalla condensazione, dall’indeterminatezza, in una parola dal mistero da cui è avvolta» che matura la sua carica emotiva. E gli intrighi di Bonifacio VIII impallidiscono di fronte alla potenza umile e commovente di quella preghiera che, dal Purgatorio, Pia rivolge a Dante: ricordati di me.