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 2021  febbraio 05 Venerdì calendario

Quando a insegnare era la Fenech

Come si risarciscono gli studenti condannati alla didattica a distanza? Un significativo ristoro lo ha fornito Cine34, il canale Mediaset che celebra a modo suo il cinema italiano, nel riproporre la trilogia dell’Insegnante con Edwige Fenech con il commento di Tatti Sanguineti. Uno potrebbe dire: guarda come sono ridotti i critici. Tuttavia, lo sdilinquirsi di Sanguineti sulle interpretazioni della Fenech ci ha aperto gli occhi: chi mai vorrebbe la scuola in presenza, avendo le lezioni private di una docente così? Tuttavia, nell’ultimo contributo della Fenech alla Pubblica istruzione, L’insegnante viene a casa (1978), Sanguineti vede un certo declino: il passaggio da una didattica decisamente aperta a una visione più tradizionale, nella aspirazione a sposare l’assessore Renzo Montagnani. Effettivamente, l’evolversi dei costumi l’avrebbe portata a interpretare signore sempre più melense dal finto accento francese, fino alla colata di melassa della fiction tv che non ha risparmiato nessuno, perfino Trinità è diventato Don Matteo.
Ma riguardando la Fenech delle insegnanti, delle pretore e delle soldatesse con il senno di poi – e il seno di prima –, bisogna convenire che c’era molta arte anche nelle situazioni più difficili. A dire “Essere o non essere?” con un teschio in mano, siamo capaci tutti. Ma voglio vedervi sotto la doccia. Invece lei trasforma in esercizio di stile proprio le abluzioni. Fin dalle prime inquadrature, ancora seminascosta dai vapori, uno dice subito “Quella è la Fenech”. Il suo rapporto con il bagnoschiuma è di tale espressività che i registi non sanno resistere: ogni cinque minuti, in spregio alle esigenze della trama, la fanno tornare nel box. Nell’Insegnante viene a casa c’è un piano sequenza degno di Antonioni, uno struggente “addio alla doccia” che fa pronunciare ad Alvaro Vitali, schiacciato contro il buco della serratura, forse la più immortale delle sue battute: “Perché non sono nato spugna?”.