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 2021  febbraio 05 Venerdì calendario

Daniil Trifonov, giovane star della musica classica

Daniil Trifonov è il pianista più intenso e visionario di questi anni, e le sue parole configurano il primato dell’immaginazione, che è nel Dna dei poeti e dei musicisti della sua Russia. Lo paragonano a Horowitz per brillantezza e virtuosismo. Tornerà a Milano e Torino in primavera. Il 5 marzo compie 30 anni. È uno dei musicisti di punta della DG, con cui pubblica il cd Silver Age, su tre musicisti rivoluzionari del suo paese: Scriabin, Prokofiev, Stravinsky. Ha bruciato le tappe, è stato un bambino prodigio. 
Ricorda il primo recital?
«A sette anni, proposi una mia Suite (compongo musica, ma non in maniera continuativa) da una rilettura russa di una vostra favola, Pinocchio». 
La storia del dentino perso a un concerto è vera?
«Sì, l’anno dopo durante un recital mi cadde un dentino da latte, lo inghiottii e andai avanti. Ma la volontà di diventare pianista maturò a 13 anni, quando per un incidente ruppi la mano sinistra e acquistai consapevolezza di ciò che volevo fare della mia vita».

Ed è vero che suo padre suona musica punk?
«Aveva un gruppo underground al tempo dell’Urss, quando mise su famiglia si dovette trovare un lavoro normale. Lasciammo Nizhny Novgorod, la mia città natale dove torno per gli 800 anni dalla sua fondazione, e ci trasferimmo nella periferia di Mosca per entrare in Conservatorio. Dall’età di 14 anni, quando ho cominciato a suonare all’estero, ho viaggiato da solo». 
Nei concerti, cambia la sua emotività a seconda di cosa suona?
«L’importante è non rimanere intrappolati dalla tensione, temo sempre di dimenticarmi qualche battuta, soprattutto nei pezzi che non ho mai suonato prima. La musica è il risultato di esperienze emotive e intellettuali. Io ho l’abitudine di concentrarmi sulla meditazione orientale, e su come questa meditazione si rifletta nel rapporto fisico che ho alla tastiera: la connessione tra mente, corpo e strumento. Mi ispiro alla spontaneità degli animali nel muoversi, penso a un leone in procinto di spiccare un salto. Ma prima di suonare in pubblico, compatibilmente con il jet leg, cerco di dormire o di farmi un sonnellino». 
Altre forme d’ispirazione?
«Le arti figurative e il cinema, anche se non in modo diretto. Penso a Fellini e Antonioni. Suonando a un museo, vidi una correlazione tra l’espressività di Liszt e un dipinto di El Greco. L’intreccio tra le varie arti (oltre alle innovazioni tecnologiche e alle tensioni politiche) è ciò che lega l’oggi agli Anni ’20 del ‘900 che eseguo nel disco». 
Può fare un esempio?
«Il rapporto tra Prokofiev e il cinema, o Stravinsky e il balletto. E poi Scriabin, il mio compositore preferito per tanti anni, ha avuto una vita breve e un’incredibile evoluzione della sua musica. Era un sognatore, un mistico, ogni suo pezzo è unico nella sua imprevedibilità, cambia continuamente ma è sempre riconoscibile».
Venendo all’approccio razionale, mentale, quando siede alla tastiera…
«La mente precede la musica, bisogna avere una strategia, è un po’ come in una partita di calcio». 
Essere compositore influisce sul suo stile pianistico?
«Sì nel senso che mi porta a contestualizzare, a approfondire il background degli autori che interpreto».