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 2021  febbraio 05 Venerdì calendario

Cino Ricci, una vita a vele spiegate

Ma insomma dopo quasi un secolo di vento in faccia, Cino, qual è la più grande emozione provata in mare?
«La prima cernia che ho preso. Non è un pesce facile, sai: devi scendere in profondità, va ammazzata perché sennò lei s’infila dentro la tana. La prima che ho preso me la ricordo come se fosse ieri».
L’uomo che inventò la vela in Italia, a 86 anni guarda ancora il mondo dalla tolda. Le barche volanti della Coppa America sfrecciano a cento all’ora a Auckland, in Nuova Zelanda, e lui, Ricci Cino da Rimini, leggendario skipper di Azzurra, la prima sfida italiana alla vecchia brocca d’argento (data di nascita 1851), si divide tra Ravenna e il buen retiro di San Savino di Predappio («Macché memorie nostalgiche del Duce! Ho 6 ettari di bosco»), dove fa il vino e pota le viti. Senza Cino, non sarebbero esistiti né il Moro di Venezia di Raul Gardini né Luna Rossa di Patrizio Bertelli. Ecco perché adesso che ad Auckland si comincia a fare sul serio, ci è parso giusto – un doveroso atto di citazione – consultare l’antenato. Che, come al solito, non ha deluso.
Cino per chi fa il tifo in Coppa America?
«Io spero che vinca Bertelli, così dopo 170 anni la coppa viene in Italia e un pezzetto di vittoria mi tocca: il papà di tutti gli arrembaggi nostrani all’America’s Cup sono io».
Le barche che levitano sull’acqua le piacciono?
«Sono begli oggetti da vedere, forse più adatti alla strada che al mare, ma di certo alta tecnologia. Mi inchino al futuro: non sarebbe Coppa America senza progresso. Però a me manca la vela: l’arte di andar per mare, l’equipaggio, la marineria...».
Ci salirebbe?
«Fossi nato 60 anni dopo sarei lì, col timone in mano».
Lei scrutava l’incresparsi delle onde, questi studiano i dati del computer di bordo.
«I marinai, infatti, non sono questi vestiti da astronauti che dispongono di troppi strumenti. In barca si lavorava molto con le mani, si maneggiavano grossi cavi d’acciaio, bisognava saper cucire una vela ruvida, rinforzarla con gli inserti in cuoio».
Il velista più bravo?
«Eric Tabarly, francese, ex militare: il mare come ragione di vita. E al mare, infatti, è tornato: scomparve una sera al largo nel mare d’Irlanda. Un mistero irrisolto, una fine all’altezza del suo mito».
Ha conosciuto marinai famosi ma sopravvalutati?
«Uh, tanti... Non mi faccia fare nomi. Ci ho scritto sopra un libro: “Odiavo i velisti”. Il pedigree non conta nulla: io ho cominciato a 5-6 anni, uscendo in mare con Oreste e Torino, all’epoca si pescava a vela con le lance. Sono salito, e non sono più sceso».
Come si diventa velisti?
«A vent’anni, nel periodo dell’esplosione dei cantieri in Romagna, mi chiama un circolo di Cesenatico. Comincio a vincere, giro per Francia, Svezia, Inghilterra. Un giorno mi confido con il mio amico Tom Blackaller, mito della vela Usa: Tom, ho rifiutato di fare la Coppa America. E lui: ma sei pazzo? Torno in Italia, mi organizzano un appuntamento a Torino. È il febbraio dell’81. Davanti all’avvocato Agnelli, parlo un’ora: Ricci, mi ha convinto, facciamola».
E poi?
«Poi chiama Montezemolo: Luca, questo signore è Cino Ricci, sarà lo skipper di Azzurra, nessuno si permetta di sindacare quello che dice e fa. Siamo partiti così, dal nulla; a Newport, nell’83, con Mauro Pelaschier di Monfalcone timoniere e il guidone dello Yacht Club Costa Smeralda con il patrocinio dell’Aga Khan, siamo arrivati alle semifinali degli sfidanti».
Il ricordo più indelebile?
«Azzurra, la mia barca. E la raccomandazione dell’Avvocato: Ricci, mi raccomando, non andiamo a fare la figura dei cioccolatai. Testuale».
Non la faceste. Gianni Agnelli la chiamava alle 6, come Boniek e Platini?
«Sempre. Ma mi trovava sveglio: noi marinai ci alziamo all’alba. Era curioso, l’Avvocato. Gli piaceva la velocità ma al timone si stufava subito: si buttava in acqua, lo raccoglievano con il motoscafo, se ne andava».
Al Fastnet del ‘69, quello dei 19 morti inghiottiti da una spaventosa depressione, lei come si salvò Ricci?
«Nessuno aveva previsto che la tempesta fosse così forte. Sono a bordo di Vanina 2, ordino di tirare giù tutte le vele e dico al mio marinaio Laurent: facciamo un bel pentolone di riso, per due o tre giorni stiamo alla cappa».
Chi vince la Coppa?
«I neozelandesi, anche se la loro barca è brutta come un rospo. La più bella, nera e veloce, è Luna Rossa».
Si sveglia alle 3 di notte per vedere le regate, Cino?
«Noooo. Mi svegliavo alle 3 per le mie, di regate. Queste le rivedo il giorno dopo, pisolando sul divano».