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 2021  febbraio 05 Venerdì calendario

Il mistero dell’okapi

L’okapi è l’ultimo grande mammifero africano scoperto dalla scienza occidentale “appena” 120 anni fa. Con un lungo collo da giraffa e striature simili alla zebra si è subito presentato come un paradosso per la sistematica: inizialmente descritto come simile a un cavallo, solo di recente è stato catalogato nella famiglia dei Giraffidi. Di abitudini solitarie, abile a mimetizzarsi nel fitto della vegetazione grazie al colore scuro e alle strisce, vive in poche foreste del Nord-Est del Congo. Di lui si sa ancora poco, e l’aura di mistero che lo circonda gli è valso l’appellativo di unicorno d’Africa.
Tra i pochi che l’hanno osservato in natura e che lo studiano sul campo c’è Rosmarie Ruf. Ricercatrice svizzera, da oltre trent’anni vive in Congo ed è la direttrice della Riserva faunistica degli Okapi di Epulu, nel Nord-Est del paese, al confine con Uganda e Sudan.La riserva fu istituita nel 1928 dai belgi (il Congo è stato una loro colonia fino al 1960) nella foresta pluviale del fiume Ituri per catturare esemplari da spedire negli zoo di tutto il mondo. Tra le attività della riserva, che dal 1996 è Patrimonio mondiale dell’Unesco, c’è l’Okapi Conservation Project (www.okapiconservation.org) l’unico programma che raccoglie fondi e sostiene la ricerca scientifica sull’okapi.
La storia del progetto inizia nel 1987 quando Rosmarie, il marito Karl e l’ambientalista nordamericano John Lukas, attuale presidente dell’Ocp, iniziano a lavorare alla difesa degli okapi utilizzando come base la vecchia stazione di cattura. «All’inizio li allevavamo per mandarli negli zoo e mantenere una popolazione riproduttiva fuori dal Congo, nel caso le cose qui li portassero all’estinzione». Poi, nel 2003, un evento terribile: Karl e i collaboratori più stretti muoiono in un incidente stradale, al rientro da un meeting con un gruppo di miliziani per negoziare sulla sicurezza della riserva. «È stato il momento più difficile della mia vita ma anche di questo progetto» ricorda Rosmarie, «non credevo di farcela, ma l’amore per mio marito e per questo animale misterioso mi ha trattenuto nella foresta, a combattere per entrambi».
La salvaguardia dell’ambiente e di molte specie in via d’estinzione in un Paese come la Repubblica Democratica del Congo è una guerra che si combatte da sempre con scarsità di mezzi e uomini, e rischi altissimi di perdere la vita. Nell’ultimo decennio sono stati più di 350 i ranger dell’Iccn (Institus Congolais pour la Conservation de la Nature) morti in conflitti a fuoco con i bracconieri e i miliziani che cercano di sfruttare le risorse del territorio: coltan, legname pregiato, avorio, pelli e animali rari come scimpanzé e gorilla di montagna.
«In risposta alla nostra attività contro l’estrazione illegale e il bracconaggio, nel 2012 una banda di miliziani ha fatto irruzione a Epulu uccidendo sei uomini dello staff e tutti i 14 okapi che ospitavamo da anni al centro» racconta Rosmarie. «È stata una cosa orribile e anche la distruzione di un lavoro di decenni: abbiamo dovuto abbandonare l’area per anni, fino a quando non è stato possibile garantire alle nostre attività una adeguata sicurezza».

È solo nel 2019 che, grazie ad aiuti internazionali e governativi, la stazione di ricerca di Epulu viene ricostruita e Rosmarie può tornare dai suoi okapi. Il governo affida la direzione della riserva alla Wildlife Conservation Society – l’organizzazione che da oltre trent’anni promuove l’Okapi Project – e viene aumentata la sorveglianza con cinquanta nuovi ranger. Solo nell’ultimo anno le pattuglie hanno smantellato oltre duemila trappole dei bracconieri e individuato 1.200 piccoli campi minerari abusivi, dai quali hanno allontanato migliaia tra minatori e taglialegna.
Rosmarie è soddisfatta per questa ripresa, in particolare quando racconta del coinvolgimento nel progetto dell’etnia residente nella riserva, i pigmei Mbuti, tra i quali vengono arruolati le guide e i guardaparco.
«Abbiamo costruito dei vivai nei loro villaggi per convolgerli nella riforestazione e realizzato un dispensario per la prevenzione di Ebola e Covid-19» dice Rosmarie. «Siamo convinti che solo proteggendo la foresta e chi la vive in modo sostenibile si potranno salvare i tremila okapi che ancora ci vivono».
Adesso quindi sono i pigmei che si spingono alla ricerca dei segni di presenza degli elusivi okapi– che tra di loro si riconoscono grazie a una sostanza odorosa lasciata sul terreno dagli zoccoli – e installano sul terreno le foto-trappole per studiarli e individuare il passaggio dei bracconieri. Con qualche sorpresa: «Da alcuni mesi un vecchio maschio di okapi ha iniziato a frequentare regolarmente alcune radure a poca distanza dal centro. È davvero un evento emozionante e di grande fiducia nei nostri confronti, che sento arrivare come un simbolo di speranza per il futuro di noi tutti».