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 2021  febbraio 05 Venerdì calendario

Francesco Guccini e il calcio

Risponde a un numero fisso: e qui entriamo già in un’adorabile atmosfera vintage. «Guardi – sorride col suo volume cavernoso, la “erre” rotonda e allegra -: io a calcio non ho giocato nemmeno quando nella pause di “Radio Freccia”, il film di Ligabue in cui facevo il barista, tutti si divertivano a fare partite di calcetto e io dovevo essere l’allenatore». Allenatore di cantautori è Francesco Guccini, “Maestrone” per tutti, versi in musica da oltre cinquant’anni e, ora, con un numero di maglia dedicato. «Mi dica un po’...», fa col suo slang fra la via Emilia e il west direttamente da Pàvana, Appennino tosco-emiliano. «Dov’è nato questo Paolo Faragò? Ruolo?». Risatona. E da qui si entra in una connessione forse mai vista: e cioè che un ragazzo di 27 anni, nuovo calciatore del Bologna, ha scelto come numero di maglia il 43 in onore del “civico” di via Paolo Fabbri, album e icona e indirizzo fisico della gioventù bolognese del “Guccio”, 80 anni e quindi apparentemente lontano da un nemmeno trentenne che pensa più a diagonali e ripartenze. Apparentemente, però. «Oh – sorride Guccini -: storia bellissima però». E lo spartito si compone.
Ecco, qualche giorno fa Paolo Faragò ha raccontato: «Da tre anni ho scoperto Guccini e da due ascolto tutte le sue canzoni. Arrivando a Bologna ho pensato che fosse carino prendere il 43 in suo onore».
«In passato altri due calciatori avevano dichiarato pubblicamente di apprezzare le mie canzoni: uno che giocava nell’Inter, che venne anche a un mio concerto, e l’altro nel Pescara. Poi Zoff: nel suo libro racconta che ascoltava sempre le mie canzoni. Ma che uno mi dedicasse il numero di maglia, beh, questo sinceramente è un inedito. Mai nella vita avrei pensato una cosa così...».
Nei commenti su gazzetta.it alla scelta del giocatore, un lettore ha scritto: «Un calciatore che ascolta Guccini: complimenti Faragò».
«Beh, l’ho trovato insolito anche io dai. Insolito e bello. Dov’è nato lui? Ah, Catanzaro. E la sua storia? Ok, Novara e poi Cagliari, ora Bologna. Cosa so del Bologna? Niente: che il suo allenatore ha vinto una brutta malattia sì, però. Sa, io e il calcio non abbiamo vissuto molto insieme...».
La casa di via Paolo Fabbri 43 è ancora sua, giusto? E ogni quanto ci va?
«È mia sì. Quando è caldo, magari. Nei tempi in cui ero a Bologna non tifavo per nessuna squadra. Ricordo che dovevo dare l’esame di italiano, era il ‘64, del calcio non m’importava nulla, a differenza dei miei amici tifosissimi del Bologna e che oltretutto a calcio ci giocavano. A un certo punto sento un casino per strada bestiale. Ma cos’è ‘sto casino? Il Bologna aveva appena battuto l’Inter allo spareggio, quello dello scudetto. Io dovevo studiare...».
Lei è un ex pallavolista, vero?
«Sì, per la stazza. Ma non saltavo un foglio di giornale: zero elevazione». Ride.
Quindi niente calcio? Mai?
«Un cugino di mio cugino, Maino Neri, che giocò poi nell’Inter, ai tempi in cui vestiva la maglia del Modena mi fece avere i biglietti e da bambino andai a vedere Modena-Sampdoria 0-0. Una noia, mamma mia. Una noia tale che per anni non ho più visto una gara. Ho cominciato a interessarmi nuovamente dopo i Mondiali vinti dell’82. Il mio ex manager si chiamava Fantini, un amico fraterno che oggi non c’è più, tifosissimo del Bologna. Per reazione a lui, come si fa un po’ da ragazzi, cominciai a tifare Pistoiese, vista la mia origine di Pàvana: la Pistoiese, poi di Rognoni e Frustalupi, che andai anche a vedere contro il Bologna e perdemmo 2-0».
Ci conferma la sua simpatia per la Juventus?
«Sì: ho sempre avuto una simpatia lontana per Platini. Da anni, ogni partita della Juve la guardo. Ho visto anche la vittoria sull’Inter dell’altra sera. A Bologna non amano molto la Juve? Spesso mi sento col mio amico Giorgio Comaschi, tifosissimo del Bologna. Quando la Juve vinse col Barcellona, mi disse: “Eh dai, ma loro giocavano larghi...”. Ora, io, ogni volta che il Bologna perde chiamo Comaschi: “Come mai avete giocato così larghi?”». E ridacchia.
Allo stadio Dall’Ara lei è mai andato?
«Una volta: mi ci hanno portato Dalla e Morandi. Massì, mi sono divertito, va’. Anni e anni fa, tramite un amico, conobbi Bulgarelli: bel personaggio».
Uno dei suoi album si chiama “Opera Buffa”: nel calcio a che cosa si può ricondurre?
«Per esempio a vecchie battute di Nereo Rocco, tipo “vinca il migliore? Speremo de no”; oppure quella di Boskov: “Rigore è quando arbitro fischia”. Mi piacciono gli allenatori silenziosi. Ma anche la scelta di prendere il numero di maglia del civico di Via Paolo Fabbri è una cosa piacevole e anche buffa, simpatica, originale».
Perché non ha mai scritto una canzone sul calcio?
«Perché non m’è venuta voglia. Tenga conto di una cosa: io sono uno dei pochissimi italiani che da piccolo non ha mai dato un calcio al pallone. E non sono un intenditore, eh...».
Faragò le fece gli auguri per gli ottant’anni su Twitter citando il brano “Quattro stracci”.
«Come mai quella? Si vede che ha avuto una mezza discussione con la sua fidanzata... Comunque mi vien da pensare che rispetto a un tempo i calciatori siano molto più attenti al mondo che li circonda».
Lei e Faragò vi vedrete vero? Davanti al civico 43, ovvio...
«Mi auguro di sì: magari quando scenderò per fare il vaccino, sperando che mi chiamino, lo vedrò volentieri...».
Intanto cosa vuole dirgli?
«È un difensore giusto? Che tiferò un po’ per lui e che faccia bene il suo mestiere, come Bonucci e Chiellini. Ah, fa il laterale destro? Allora come Cuadrado: forte Cuadrado...».