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 2021  febbraio 04 Giovedì calendario

Il calcio di Putin ai formaggi europei (per favorire il suo nuovo polo caseario)

Cinque stabilimenti, una potenzialità produttiva di 19mila tonnellate, due anni per andare a pieno regime. A una manciata di chilometri a Nord di Mosca, è ormai giunto ai blocchi di partenza il distretto caseario di Dmitrovsky. Con un obiettivo ben preciso: diventare il primo produttore di formaggi e latticini della Russia. Lanciato tre anni fa da Putin, finanziato con 45 milioni di euro di fondi pubblici e realizzato anche grazie a tecnologie e know-how italiani, il maxipolo produttivo fa parecchio arrabbiare gli imprenditori del nostro Paese: da quando, nel 2013, Mosca ha imposto l’embargo sui formaggi italiani, è andato perso un mercato da quasi mezzo miliardo di euro.
Finora, la Russia ha sostituito l’importazione di formaggio europeo con 300mila tonnellate all’anno di prodotti caseari provenienti per lo più dai Paesi limitrofi: 230mila dalla Bielorussia, il resto dalla Serbia e dal Kazakhstan. Ma anche la produzione nazionale russa nel frattempo ha fatto passi in avanti e oggi vale un milione di tonnellate all’anno, il 5% in più rispetto a cinque anni fa. Ora, con la messa in moto del distretto di Dmitrovsky, i danni per il made in Italy rischiano di diventare incalcolabili, anche perché la Russia non si riconosce nella normativa che tutela i prodotti Dop e Igp e, così come negli Usa, con ogni probabilità prolifereranno i fake e l’Italian sounding.
Come se non bastasse, il calcio di inizio del maxipolo caseario arriva pochi giorni dopo la doccia fredda con cui le autorità russe hanno confermato l’embargo per i formaggi europei per tutto il 2021 ancora. E a nulla sono valse le pressioni degli imprenditori su Bruxelles per trattare con Mosca quanto meno una turnazione dei prodotti sotto embargo. «Ora basta – dice Paolo Zanetti, presidente di Assolatte – se nel 2013 non fosse cominciato l’embargo, la Russia per noi oggi sarebbe stata tra le prime quattro destinazioni dell’export mondiale. E invece, l’embargo si è rivelato il più bel regalo che abbiamo fatto all’Italian sounding».
Per i produttori italiani, il mercato russo si era rivelato estremamente promettente: tra il 2000 e il 2013 i volumi venduti erano aumentati di 100 volte, superando le 7mila tonnellate, per un valore di 43 milioni di euro. Tra il 2011 e il 2013 le richieste di prodotti italiani avevano toccato punte di crescita del 30% l’anno. Poi, con l’embargo, uno dei mercati più interessanti si è azzerato all’improvviso, e il settore ha vissuto momenti drammatici, con milioni di euro di investimenti andati in fumo.
«L’embargo deve finire – dice Zanetti, senza mezzi termini – più passa il tempo, e più sarà difficile recuperare un mercato fatto di consumatori che ormai si sono abituati al gusto dei prodotti Italian sounding. Dal blocco russo ai dazi statunitensi, non capisco come mai è sempre il settore dei formaggi a dover pagare il prezzo più salato delle guerre commerciali. Tra l’altro, riaprire il mercato russo sarebbe importante per trovare nuovi sbocchi a tutta una produzione del latte che, in Italia, sta crescendo ben oltre le possibilità odierne di utilizzo».