Sì, certo, ma come può una storia del genere diventare un pezzo che ha qualcosa da dire al nostro vissuto di tutti i giorni?
«Inuyasha era un mezzo demone che non voleva diventare un demone completo e tratteneva la sua cattiveria per aiutare i suoi compagni a recuperare i frammenti della sfera. Mi piaceva questa idea trasportata su una relazione attuale di un uomo e una donna, riguarda il desiderio di non voler fare del male al prossimo, di rinchiudere il male in una crisalide».
In questo pezzo sembra inseguire qualcosa di più profondo, è una reazione a un eccesso di leggerezza e di effimero che attraversa la nuova scena musicale?
«Le cose leggere servono, per carità, hanno la loro utilità, soprattutto per quando si ricomincerà dal vivo, serve un po’ di spensieratezza. Ma ora volevo fare qualcosa di importante, in fondo è il mio vero primo disco. Mi rendo conto che non è il classico singolo che anticipa un album, ha una struttura non semplicissima. Anche mia mamma ha detto: “ehi Ale ma questo pezzo però non è come Rapide , bisogna sentirlo più volte per capirlo”, questa cosa mi mette un po’ di ansia perché ovviamente vorrei che tutti i pezzi funzionassero, però ci sono momenti in cui bisogna rischiare, è necessario, e me ne prendo la responsabilità».
Bello sentirlo dire, anche perché in musica, come in altri mondi, sembriamo tutti ammalati di velocità e fretta…
«Credo che dobbiamo imparare a soffermarci su delle canzoni, non dare subito un giudizio e passare oltre, è un errore che faccio anche io, intendiamoci, per esempio il nuovo pezzo di Michele Bravi l’avevo ascoltato una volta e non gli avevo dato importanza, poi l’ho riascoltato e ho capito, dietro c’è una storia, credo sia arrivato il momento di ascoltare con meno voracità. Per un artista è importante altrimenti è tutto uguale».
Ha ulteriormente estremizzato l’originalità del suo stile di canto, ora è a metà tra l’orientale e un’improvvisazione jazz. Ha molto studiato per arrivare a questo?
«In questo caso cercando la melodia mi sono lasciato trasportare dagli accordi, che sono molto r’n’b, mi piace molto Jazmine Sullivan che è quasi una jazzista e comunque, come nel resto del disco, riprendo suoni che ho memorizzato nel corso della vita, come quando sono andato in Egitto da piccolo e mi svegliavo con la voce del muezzin che rimbombava in tutta la città, alla fine ancora prima di essere una preghiera è un canto.
Questi suoni li ho ripresi mettendo parole italiane, perché questo è alla base delle cose che faccio: lo scopo di queste canzoni è un respiro internazionale con una forte radice italiana. Ultimamente mi sono sentito libero di rischiare, di andare in zone non per forza comprensibili da tutti. Questa è una melodia libera, non ho pensato altro se non fare una cosa che mi piaceva».
Anche nelle parole c’è un continuo passaggio da immagini reali a fantastiche?
«Ho scelto parole non comuni, per esempio quando dico “non sarò mai uno di quei rich kid”, magari tanti non capiranno cosa vuol dire ma non importa, per me hanno un significato profondo, è un altro riferimento all’infanzia, al cinema americano, mi riferisco al film Ritchie Rich che vedevo da bambino nella mia casetta con mia mamma ogni Natale. Il bambino ricco col McDonald in casa sembrava un sogno irraggiungibile».
È giusto dire che ha alzato la posta del suo orizzonte musicale?
«Sì, è come se avessi alzato l’asticella, anche sul video, anche lì ho voluto rischiare, la storia l’ho pensata tutta io in cinque mesi, ci abbiamo lavorato tantissimo, avevo l’esigenza di ricreare l’immaginario di Inuyasha. Insomma ci siamo fatti il culo».
È un momento straordinario della musica italiana, escono ogni giorno artisti nuovi che cambiano il panorama tradizionale. Questo la mette a disagio?
«Al contrario, c’è una competizione sana a far sempre meglio, ogni giorno arriva qualcosa di nuovo, ora c’è questo ragazzino che si chiama Blanco, è fortissimo, per me è una gioia, mi dice che devo fare sempre meglio. Può essere destabilizzante per quelli abituati per anni a fare lo stesso genere, ma per me è positivo, è evoluzione. Oggi ho un’aspettativa molto alta, mi sono impegnato tantissimo, all’inizio i pezzi che avevo immaginato erano ancora più sperimentali ma ho capito che non bisogna esagerare. In fondo sono partito dalla vittoria al Festival da un approccio mainstream, poi ho avuto la grande fortuna di renderlo internazionale, e non bisogna stravolgere troppo l’ascoltatore: bisogna accettare qualche compromesso, per quanto mi riguarda sono stati molto piccoli. Questa volta finalmente mi sono sentito libero di pensare fino in fondo come un artista».