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 2021  febbraio 02 Martedì calendario

Com’è facile vaccinarsi a Berlino

Una decina di giorni fa ho ricevuto una lettera dal Bundesregierung, il governo federale, mi regalava una dozzina di supermascherine Ffpp2, con un ticket di due euro, ognuna costerebbe circa il doppio, sono obbligatorie sui mezzi pubblici e in certe strade frequentate. Giovedì mi è arrivata una lettera dal municipio di Berlino, credevo fosse una multa, invece era l’invito a farmi vaccinare. La Germania e la capitale pensano a me.
Ho atteso venerdì per rispondere. Avrei potuto telefonare o accreditarmi online. Al telefono, probabilmente, avrei atteso qualche ora. Il telegiornale ha intervistato una coppia anziana, senza computer, che è rimasta a turno in attesa al call center per un giorno e mezzo. Ho scelto la data, l’ora e, automaticamente, mi è arrivato l’appuntamento per il richiamo 21 giorni dopo. Ho cliccato infine la password comunicatami per lettera, lunga tra lettere numeri, trattini alti e bassi, quanto un Iban. E mi è giunta in rosso la risposta: Fehler, sbaglio, questo code è già stato assegnato, ci telefoni. Tra inglese e tedesco, dopo un attimo di panico, capitano tutte a me, ho controllato: la stampa della lettera non era ottimale, avevo scambiato una C con una G. Tutto a posto, pochi minuti sprecati e dal 14 marzo ero finito al 17, ma non sono superstizioso.
Tra i diversi centri, ho scelto la Fiera, a quattro fermate di metro da casa mia, ci potrò andare anche a piedi, se non ci sarà neve e ghiaccio come oggi. Tra sei settimane sarà primavera o quasi anche a Berlino. Se vorrò farmi accompagnare, mia moglie si dovrà fermare all’ingresso per ragioni di sicurezza: ma non abbia paura, qualunque problema l’aiuteremo noi. Non mi attenderà una tenda a fiorellini come quelle inventate da Arcuri, ma uno dei tanti separé montati in una grande Halle, pratici, senza fronzoli.
Sono un privilegiato senza merito, per l’età sono stato messo nella prima di sei fasce, insieme con il personale sanitario, medici e infermieri. I politici vengono al penultimo posto, a meno che non siano anziani, perché non sono indispensabili. Frau Angela, 67 anni da compiere a luglio, dovrà aspettare il terzo turno. A meno che non sia tacitamente passata avanti. Sarò ingenuo, non lo credo. Leggo invece, e vorrei non crederlo, che in Italia in centomila hanno saltato la fila, amici degli amici, lontani parenti di medici e infermieri. Se fosse vero, e vivessi in Italia con parenti non più giovani, sarei furente.
In Germania si discute se si debba fare eccezione per chi abbia gravi handicap, o mali cronici, a qualsiasi età. La burocrazia teutonica finirà per cedere. Il ministro della sanità, Jens Spahn, 41 anni a maggio, non ha bisogno del vaccino perché ha già superato il Covid, insieme con suo marito, un giornalista. Era tra i candidati possibili alla successione di Frau Merkel, ora è in ribasso per gli sbagli sulla vaccinazione: la Germania ha meno dosi di quanto aveva previsto. La BioNTech e la Pfizer sono in ritardo sulla produzione, hanno dirottato le fiale in Gran Bretagna o altrove. Un errore da tedesco, Spahn si è fidato dell’assoluta affidabilità di una ditta teutonica. In emergenza nessuno è perfetto. Ha ammesso che non tutto è andato come previsto, e promesso che la prima fascia verrà vaccinata entro la fine di marzo. Ogni giorno a Berlino. 3,5 milioni di abitanti, quanto Roma, si compiono trentamila vaccinazioni.
Mi vaccino oppure no? È una questione privata. Un giornalista non dovrebbe mettere il becco da profano sulla salute dei lettori. Ognuno decida per sé. Io non so quale vaccino mi attenda alla Fiera, ma potrei saperlo. Non ho dubbi che venga mutato il mio Dna, anche se fosse potrei diventare verde o tramutarmi in un personaggio di Star Treck quando avrò cento anni. Al peggio, un vaccino sarà acqua fresca. Avrei altri scrupoli: andare avanti lasciando indietro mia moglie, mia figlia, mio figlio, mia nipote ventenne a Roma? Per il Covid, non vale l’antica regola dei marinai, prima le donne e i bambini. Salire tra i primi sulla scialuppa di salvataggio, mi fa sentire in colpa.