La Stampa, 2 febbraio 2021
Sulla mostra “Espressioni” al Castello di Rivoli
Alzi la mano chi ha voglia di urlare. In questo anno di vita sottovuoto, scandito dai divieti, abbiamo accumulato una serie di frustrazioni che l’arte può in parte sfogare. Nella settimana in cui riaprono i musei, il Castello di Rivoli inaugura una mostra che finalmente non ci chiede di trattenerci: «Espressioni», prima parte di un voluminoso racconto che non procede per epoche o per stili, piuttosto per sentimenti, tutti portati all’eccesso. Dalla maschera Ngil del XIX secolo che si allunga per scrutare l’orizzonte al Ritratto di Diego (1954) di Giacometti, carico di domande, tutte lì da leggere e vedere chiare su quella faccia. Dalla Scena allegorica (1521-1522) di Dosso Dossi a La pazza (1905) di Balla che si agita davanti alla bellezza sfacciata della Ballerina batticoda (2016) di Lynette Yiadom-Boakye, una figura così carismatica da farsi notare pure con un sguardo che sbuca da dietro una schiena.
Nessuno si trattiene, nessuno domina l’incertezza, l’inquietudine, la sorpresa in questa fila di capolavori mescolati a opere che si prendono la scena contemporanea senza un ordine di apparizione. Non c’è logica, è un concentrato di emozioni che hanno abbandonato le buone maniere e il politicamente corretto.
Sono reazioni alla storia, al progresso, alle novità, alla scienza, non tutto risponde alle cattive notizie, a volte ci si stranisce davanti a cambiamenti epocali, altre si guarda passare le guerre con tutte le assurdità che si lasciano dietro. Poi ci sono le crisi di identità, i terremoti esistenziali, il Narciso (1579-1599) di Caravaggio in arrivo a breve da Palazzo Barberini e i drammi domestici, Sansone e Dalila (1630-1638) di Artemisia Gentileschi, pittrice in un tempo che non considerava le donne degne di dipingere e violentata dal maestro che avrebbe dovuto aiutarla a emergere. Fughe, tumulti e incredulità, non ci si arrende quando si cerca comunque di esprimersi e farsi riconoscere e scatenare empatia, sia con le grida sia con le grandi dichiarazioni. Un romanticissimo Kentridge perde quasi il senno quando scopre che la moglie è malata e disegna un Viaggio sulla luna (2003) a bordo di una caffettiera in un film animato ispirato a Méliès, il padre degli effetti speciali.
L’attentato (1936) di Grosz negli anni del nazismo intrisi di violenza e le martellate di Bonvicini in Hammering Out (1998), per appianare le discussioni. Misure forti, stati d’animo a fior di pelle e la corrente porta dritto a Sex, una sezione curata da Anne Imhof, Leone d’oro a Venezia nel 2017, qui in veste di artista e di sciamana. Dice di aver idealmente dialogato con la passionale Gentileschi, di aver sentito voci mentre assemblava la sua gabbia aperta al centro della manica lunga del Castello di Rivoli. Lei che si presenta con Sunset 312 (2019) dai colori intensi che tradiscono: non è un paesaggio che esplode al tramonto, ma un test nucleare amplificato a dismisura. Nota soprattutto come performer, Imhof avrebbe voluto sparpagliare di corpi tutta la lunghezza della sala, ma non si può, il Covid vieta ancora, sottrae, limita, così lei ha liberato la musica. Un assemblaggio di elettronica, punk misto a pezzi classici. Si sovrappongono le note, i volti, le epoche e resta sempre in evidenza l’espressione. Il bisogno di esistere, di dichiarare la propria presenza o la personale diversità, il disagio o l’amore, sempre senza alcun pudore.
È l’antitesi della maschera che nasconde e non è certo un incitamento alla rivolta: come tutte le altre mostre tornate visibili in questi giorni, anche questa pretende naso e bocca coperti, distanze rispettate, ma regala comunque la possibilità di lasciarsi andare. Noi dietro la mascherina e ogni opera a ricordarci chi siamo senza, stravolti da quel che ci succede come tutti i soggetti presenti a Rivoli.
«Espressioni» supera l’espressionismo: la corrente rispetta date certe, la mostra no, si muove priva di qualsiasi canone restrittivo, indecente e travolgente. Come spiega Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice di questo museo d’arte contemporanea: «Quando l’essere umano si sente fragile, trova il modo di esibire le sue necessità, le espressioni sono spesso scatenate da un fallimento ma si rivoltano all’idea di fermarsi lì, a quello che non si conosce, che non si capisce e spaventa».