La Stampa, 1 febbraio 2021
Le banche discriminano le imprese femminili
Prima del Covid le imprese femminili erano tra quelle che crescevamo di più, a dieci mesi di distanza dall’esplosione della pandemia sono tra quelle che hanno pagato il conto più salato. È vero che le imprese «rosa» hanno dimensioni più piccole, sono più «giovanili», operano prevalentemente in settori come il terziario ed in territori più fragili come il Centro-Sud e che più di altri hanno sofferto la crisi, ma devono anche scontare una vera e propria discriminazione nel campo del credito. Fanno infatti molta più fatica ad accedere ai prestiti delle banche scontando un tasso di rifiuto doppio rispetto alle imprese a conduzione maschile: 8% contro 4%.
«Fare impresa per una donna significa affrontare diverse difficoltà in partenza. Una di queste è certamente l’accesso al credito» conferma Cristina Tumiatti, presidentessa del Comitato imprenditoria femminile di Torino. «Ci sono ostacoli culturali – spiega – perché chi finanzia tende a chiedere maggiori garanzie alle imprenditrici rispetto a quelle richieste ai loro colleghi maschi. Ma accade anche che le donne siano meno ferrate sulla materia finanziaria. Proprio per questo, a gennaio, a Torino è partito il progetto “Finance 4 women"». Si tratta di un ciclo di sei incontri realizzato da Global Thinkinf Foundation in collaborazione con Gruppo Giovani Imprenditori Unione Industriale di Torino, Camera di commercio di Torino e Comitato Imprenditoria Femminile, Fondazione Bellisario, Yes 4 To. «È necessario che le giovani imprenditrici acquisiscano maggiori competenze in questo campo per evitare, anche su questo fronte, diversità di genere» sostiene Tumiatti.
L’ultima indagine di Unioncamere sull’imprenditorialità femminile relativa al 2020 rivela che la fonte più utilizzata per avviare un’impresa femminile è il capitale proprio/familiare (49%), mentre il ricorso al credito bancario si ferma all’11% in parte per un problema di scoraggiamento «dato che in tale ambito esiste un “effetto genere” a sfavore del genere rosa» spiega lo studio.
La quota di imprese che non richiedono credito perché sfiduciate sul positivo riscontro da parte delle banche è doppia tra le imprese femminili rispetto a quelle maschili (8% contro 4%), così come è doppia rispetto a quelle maschili la quota di imprese che hanno ricevuto credito inadeguato o che addirittura non hanno visto accolta la loro domanda.
Le ragioni? Alle imprese femminili viene chiesta maggiore solidità finanziaria e patrimoniale come pure maggiori garanzie da parte di terzi (54% contro il 39% chieste ai maschi). Quanto alla crescita, nel caso del venture capital per le imprese maschili vale il concetto di crescita potenziale futura (che può avere margini di aleatorietà) per quello femminile si richiedono esplicitamente le performance già conseguite. Come dire: delle promesse e dei progetti ci si fida ma solo se vengono da maschi, quelli delle donne non valgono, magari perché visto che sono più giovani possono far leva su relazione creditizia più corta rispetto alle imprese maschili. Dato che chiude il cortocircuito a danno delle imprese «rosa».