la Repubblica, 31 gennaio 2021
Intervista a Robin Wright
A 54 anni l’attrice Robin Wright debutta alla regia cinematografica col film Land. Si era fatta le ossa dietro la cinepresa dirigendo numerosi episodi della premiata serie House of Cards che l’ha resa famosa in tutto il mondo nel ruolo di Claire Underwood, presidente Usa nell’ultima stagione.
In Land, in questi giorni presentato fuori concorso al festival Sundance, la Wright è anche interprete, nel ruolo di Edee, che dopo un impensabile e tragico evento in cui ha perso figlio e marito, incapace di rimanere collegata al mondo, si nasconde da sola nelle durissime montagne del Wyoming. Sull’orlo della morte, viene salvata da un messicano, residente di una tribù locale (Demian Bichir), che la riporta lentamente alla vita. Divorziata da Sean Penn, da cui ha avuto due figli una femmina e un maschio di 30 e 28 anni – la Wright è sposata da due anni con il francese Clement Giraudet, quasi vent’anni più giovane di le i.
di Silvia Bizio Perché questo film come sua prima regia per il cinema?
«Il progetto mi è giunto tra le mani in un periodo in cui sparatorie casuali, qui in America, avvenivano in continuazione. Il concetto risonante era quello della perdita di un membro di famiglia, una perdita improvvisa, imprevista, insensata.
Mi sembrava una storia perfetta per esprimere l’esperienza personale della perdita di fede, oltre che di una persona amata. Un evento tragico altera per sempre la percezione di te stessa».
Questa donna sceglie la fuga.
«Sì, perché sente che è l’unica maniera per salvarsi. Ma è così che ritrova la fede e la speranza».
La salva anche il rapporto con la terra, “land”?
«Sì, la terra in cui viviamo è anche la nostra famiglia, è uno dei protagonisti di questo film. Devi rispettare la natura, comunicare con lei e con tutti i suoi elementi, come fossero i vari membri della tua famiglia, i tuoi figli, cugini, zii. Il titolo del film vuole significare anche che atterri in un luogo solido, dove la tua vita è salva».
Un film girato nella natura, non come “House of Cards” realizzato nei teatri di posa.
«Abbiamo girato Land nella regione dell’Alberta, in Canada, in condizioni meteo imprevedibili. Cominciavamo le riprese con il sole e dopo mezz’ora arrivava un freddo glaciale, e dovevamo adattarci a cambiare scena da un momento all’altro, passare dall’estate all’inverno, dai miei capelli corti a una parrucca di capelli lunghi e disordinati. Di certo un mondo a parte rispetto a House of Cards. Ho sofferto il caldo e il freddo, ma mi è piaciuto da matti».
Cos’ha imparato dirigendo?
«Che richiede una pazienza da certosino, essere dotati di quiete e serenità. Ho appreso quanto la quiete sia di beneficio all’arte e al racconto. Trovarsi in cima a quelle montagne ha aiutato molto a trovare questa quiete. È stata una terapia straordinaria».
Ma è tornata in pianura, a Los Angeles: come vive questi giorni
strani?
«Nelle montagne non c’era molto segnale per fortuna, una benedizione non dover leggere le notizie tutti i giorni. Vorrei tornare lassù! È deprimente la cattiveria e la bruttezza dei quattro anni di amministrazione Trump. Forse per questo ci tenevo a fare un film che parlasse di gentilezza, e di come essere buoni sia più facile che essere cattivi. Di recente poi i social media sono diventati una malattia. Sono stati di aiuto ma hanno fatto anche danni. Si sentono tutti giudici e censori. Mi viene voglia di fuggire nella natura, soprattutto al mare, perché io sono una tipa da spiaggia, cresciuta nella California del sud, mi porto il mare dentro».
Sente il peso dei preconcetti di Hollywood nei confronti dell’età nelle donne?
«In positivo. Ho sentito un cambiamento dentro di me quando ho compiuto 40 anni, e ho cominciato a smettere di preoccuparmi delle tante sciocchezze, o a temere che qualcuno sparlasse alle mie spalle.
Ho cominciato a pensare: chi se ne importa, hai una missione davanti, qualunque essa sia al momento, e pensa a quella».
Come ha reagito all’isolamento di questi ultimi mesi?
«Quello che più mi è rimasto dentro è la consapevolezza del bisogno di contatto umano, di abbracciarsi. Ero in Francia recentemente e nessuno si bacia più sulle guance come è sempre stato, la distanza sociale è la cosa più bizzarra che abbia mai visto. Come esseri umani abbiamo bisogno di un contatto. Torneremo mai ad abbracciarci? Sarà mai più una cosa naturale dopo questa pandemia?
Non lo so. Sono i pensieri che mi assillano in questo periodo».