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 2021  gennaio 31 Domenica calendario

Un dialogo su evoluzione, letteratura e biologia

Caro Giorgio,
adesso che come scrittore non ho più niente da scrivere, adesso che ho scritto tutto quello che volevo scrivere, tutto ciò che avevo bisogno di dire, parlare con te è la mia unica consolazione, in questa desolazione, in questo senso di fine, in questa raggiunta consapevolezza dell’inutilità di ogni battaglia per la razionalità, l’unica che ormai mi interessi un minimo, che però se pure uno dovesse vincerla, neppure quello sarebbe una consolazione.
Tipo: oggi è il 18 marzo del 2020, ha senso? Dico, del 2020. Nessuno di voi scienziati che abbia mosso un dito per cancellare questa impostura. Io non ti scrivo dal 2020, io mi rifiuto di scriverti dal 2020, ma scherziamo? Io ti scrivo da quattro miliardi e ottocentomila anni dalla formazione di questo pianeta, ti scrivo da tre miliardi e mezzo di anni dopo la comparsa dei primi organismi monocellulari, ti scrivo da seicento milioni di anni dalla comparsa dei primi animali, ti scrivo da sessantotto milioni di anni dall’estinzione dei dinosauri e da duecentomila anni dopo la comparsa della nostra specie e da 2020 anni da questa piccola, ridicola stupidità umana contro cui voi scienziati non muovete un dito.
Siccome in generale la mia accusa include non solo gli umanisti, non solo i letterati, ma anche gli scienziati, anche voi scienziati, perché non potete, non siete in grado di denunciare l’enormità della catastrofe del pensiero. Vi hanno perseguitato per secoli, come hanno perseguitato ogni accenno di libero pensiero, ogni accenno di visione della realtà, e voi accettate di contare gli anni con questa scemenza, non è che vi mettete d’accordo e dite basta, adesso contiamo gli anni dalla pubblicazione de L’origine delle specie di Charles Darwin, per esempio.
Ecco, Giorgio, io volevo scriverti una lettera per dirti che avrei voluto scrivere un libro con te, insieme a te. Magari scriverci delle lettere. Perché tu scientificamente, giustamente, riconduci tutto a ciò che è biologico, e questo mi sta bene, questo ha un senso, siamo scimmie che pensano, ma siamo anche scimmie che pregano esseri invisibili, siamo scimmie che si illudono, e dunque siamo davvero scimmie più intelligenti delle altre scimmie? Che libro potremmo scrivere, un libro rivolto a chi, per chi?
Vedi, Giorgio, quello che chiamiamo coscienza è una farsa che potrei giustificare se servisse a una presa di coscienza: se pure siamo nati per credere, per citare il titolo di un tuo libro bellissimo, sarebbe arrivato il momento di nascere per non credere più e denunciare la realtà con ogni mezzo che abbiamo. Io come scrittore, tu come scienziato. E arrivare fino alla fine del mondo, adesso.
Baci, tuo
Massimiliano

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Caro Massimiliano,
Quello che dici sul modo di dar valore al calendario mi ha fatto venire in mente un passo de Il gene egoista di Richard Dawkins. Recita così: «Non dobbiamo più ricorrere alla superstizione, quando ci imbattiamo in problemi profondi, quali: «Ha un senso vivere?», «A cosa siamo destinati?», «Cos’è l’uomo?». Dopo aver posto l’ultima di queste domande, l’eminente zoologo G.G. Simpson la mise così: «Il punto a cui voglio arrivare adesso è che tutti i tentativi di rispondere a quelle domande fatti prima del 1859 sono inutili e che otterremo migliori risultati ignorandoli completamente».
Il 1859, val la pena ricordarlo, è l’anno di pubblicazione de L’origine delle specie di Charles Darwin. Da allora niente è più lo stesso: abbiamo mangiato la mela dall’albero della conoscenza, e per noi non c’è più Paradiso.
Non mi disturba, tuttavia, dire che oggi è il 18 marzo 2020. Affronto la vita quotidiana come farebbe un antropologo che aderisce ai riti della tribù che lo ospita. Riti che sono parte della storia culturale della specie e della società cui appartengo, come appunto il calendario gregoriano, che è il calendario solare ufficiale di quasi tutti i paesi del mondo, e che fu introdotto da papa Gregorio XIII il 4 ottobre 1582. C’è un grande valore nella storia del calendario ed è bello sentirsi parte di questa storia, come esseri umani. Allo stesso tempo sono consapevole che le date del calendario gregoriano sono convenzioni, i calendari sono sistemi che abbiamo adottato per suddividere, calcolare e dare un’etichetta ai diversi periodi di tempo. Avremmo potuto adottare convenzioni diverse se le contingenze storiche fossero state differenti, e siamo sempre in tempo per iniziare a adottare convenzioni nuove, se la maggior parte dei membri della tribù fossero d’accordo nel farlo. Potremmo contare gli anni dalla pubblicazione de L’origine delle specie di Charles Darwin, per esempio, come suggerisci tu. Ma per cambiare le convenzioni bisogna che la maggior parte delle persone sia disposta a farlo. E qui veniamo al problema cui sembri alludere: come mai, a dispetto della sua pervasività nelle nostre vite quotidiane, la scienza pare incidere così poco nel nostro interrogarci attorno alle domande profonde che riguardano le nostre vite? Perché preferiamo rivolgerci alla religione? In fondo, mai nella storia dell’uomo la scienza e la tecnologia sono state importanti quanto lo sono oggi.
Prendiamo il caso della tribù cui tu stesso appartieni (seppure malvolentieri, a quanto dici), quella degli scrittori. Quanto è rilevante il sapere scientifico nell’ attività creativa di uno scrittore, oggi? Non dico per ciò attiene ai contenuti specifici - penso alla famosa domanda di Elio Vittorini su come possa un poeta ignorare il secondo principio della termodinamica: in fondo, chi se ne importa che i poeti si mettano a scrivere sul secondo principio della termodinamica? - mi incuriosisce invece sapere se quello che un poeta scrive è influenzato, anche senza che lui lo sappia, dagli interrogativi scientifici dell’epoca in cui egli vive.
Mi viene in mente una storia che mi ha raccontato qualche anno fa Rodrigo Quian Quiroga, un collega neuroscienziato di origine argentina. Rodrigo ha scritto un bel libro sulle moderne ricerche sulla memoria prendendo a pretesto una delle invenzioni di Jorge Luis Borges: la storia di Funes «il memorioso», il ragazzo dotato di una memoria prodigiosa. Per scrivere il suo libro Rodrigo ha trascorso molto tempo chiacchierando con Maria Kodama, la vedova di Borges, che gli ha consentito l’accesso alla biblioteca del marito e che gli ha spiegato come in realtà Borges non avesse alcun interesse per la scienza. Ho trovato questo aneddoto incantevole. Come è riuscito Borges a penetrare, seppure a modo suo, gli enigmi della neuroscienza moderna senza avere alcun interesse per la scienza?
Forse Borges è un caso speciale di chiaroveggenza, perché altri scrittori invece hanno dichiarato esplicitamente una grande passione per i temi scientifici. In Italia, per dirne solo alcuni, Primo Levi (che forse non vale come esempio, essendo egli stato prima che uno scrittore un chimico), Italo Calvino e, particolarmente caro a me, Daniele Del Giudice. Ma mi accorgo che sto invadendo il tuo campo (sai che lo faccio di proposito: uno dei sotto-titoli cui potremmo pensare per il libro che ci piacerebbe scrivere è appunto Dialoghi tra uno scrittore che avrebbe voluto essere uno scienziato e uno scienziato che avrebbe voluto essere uno scrittore).
Un abbraccio,
Giorgio