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 2021  gennaio 31 Domenica calendario

Il 40% vuole un Conte Tre, il 36% un altro nome

La crisi politica ha suscitato disorientamento e sconcerto tra i cittadini che faticano a capire i motivi della fine del governo Conte, in un contesto di diffusa inquietudine per la crisi economica e l’emergenza sanitaria del Paese. Quasi due italiani su tre (61%) ritengono che l’attuale situazione sia un ulteriore elemento di preoccupazione che sarebbe stato meglio evitare, mentre il 23% mostra ottimismo considerando la crisi un’opportunità di rilancio per il Paese.
Tra tutti gli elettori, con l’eccezione dei leghisti (divisi a metà tra queste due opinioni), prevale in modo trasversale l’idea che la crisi di governo sia del tutto inopportuna. Il fatto che anche tra gli elettori dell’opposizione di FI e di FdI, nonché tra gli astensionisti, prevalga questo parere, va ricondotto al timore che l’Italia possa rimanere senza guida per un lungo periodo rischiando di rinviare decisioni urgenti, a partire dal Recovery plan. Il bilancio del Conte II presenta luci e ombre: i giudizi positivi (voto da 6 a 10) prevalgono riguardo alla gestione della pandemia (50% contro 40% di giudizi negativi) e sui rapporti con l’Ue (48% contro 40%). Viceversa, le valutazioni negative (voto da 1 a 5) sopravanzano quelle positive riguardo alla gestione della crisi economica (51% contro 38%) e dell’immigrazione (57% contro 30%) nonché agli interventi in ambito giudiziario (53% contro 28%). Ogni ambito ha una diversa rilevanza nelle priorità dei cittadini: pandemia, economia e rapporti con l’Ue sono più importanti rispetto all’immigrazione (oggi considerata importante dal 20%, nel 2018 dal 46%) e al sistema giudiziario.
Non stupisce, quindi, che oggi il 40% sia del parere di affidare l’incarico per un nuovo governo al premier uscente, mentre il 36% preferirebbe un’altra figura. Le preferenze tornano a essere influenzate dall’appartenenza politica, anche se non mancano i sostenitori di Conte tra gli elettori dell’opposizione (34% tra chi vota FI, 20% tra chi vota FdI e 13% tra i leghisti). Ancora una volta, tuttavia, il risultato è influenzato dal gruppo più numeroso, costituito da astensionisti e indecisi su chi votare (40%), tra i quali Conte risulta preferito dal 34% contro il 20% che auspica un altro premier.
Ma quale maggioranza vorrebbero gli italiani? Nelle risposte date prima di conoscere l’esito delle consultazioni del presidente Mattarella, i cittadini sembrano privilegiare una maggioranza ristretta, indipendentemente dal colore politico, e il più possibile coesa (46%) rispetto ad un governo di unità nazionale (22%), mentre uno su tre (32%) non prende posizione. Indubbiamente, l’ipotesi di una maggioranza larga, con partiti piuttosto distanti tra loro, evoca il timore di un eccesso di litigiosità e immobilismo.
Da ultimo, la soluzione rappresentata dalla fine anticipata della legislatura con il ricorso alle urne: quasi un italiano su due (47%) si dichiara contrario al voto, i favorevoli sono il 28% e il 25% è indeciso. Più propensi alle urne i leghisti (67%) e gli elettori di FdI (52%), pur in presenza di una quota rilevante di contrari (rispettivamente il 24% e il 36%). Tra gli elettori di FI, viceversa, prevalgono i contrari al voto (51% contro il 36% a favore). E tra Pd e M5S circa 1 su 10 gradirebbe le elezioni. La propensione al voto è sostenuta soprattutto dagli elettori del centrodestra che intravvedono la possibilità di una affermazione. I più contrari, invece, manifestano la preoccupazione che si possano dilatare a dismisura i tempi di costituzione di un nuovo esecutivo, vanificando la possibilità di intervenire in tempi brevi con misure incisive per contenere gli effetti della crisi.
Insomma, oggi la richiesta di voto non sembra così popolare, forse anche perché l’intento dichiarato da alcuni esponenti politici di «far scegliere agli italiani» è una mezza verità, tenuto conto che con l’attuale legge elettorale le maggioranze vengono definite dai partiti non prima, ma dopo l’esito del voto. Quindi si dà la parola agli italiani per ridare la parola ai partiti che decidono indipendentemente dalle alleanze pre-elettorali e dai desideri dei propri elettori, molti dei quali si sentono presi in giro. E poi ci si stupisce che i cittadini si allontanino dalla politica.