Il Sole 24 Ore, 31 gennaio 2021
La Cina alla sfida spaziale
Tra guerre commerciali e sfide spaziali il passo è breve: con la Cina è questione di mesi, non di anni luce. Il tempo necessario agli Stati Uniti per capire e rispondere alla più grande sfida tecnologica, finanziaria e industriale della nuova era della globalizzazione socialista cinese. Le informazioni sulla «Space Belt and Road Initative», la «Via della Seta nello spazio», sono ancora poche e frammentarie, ma il progetto sarà l’annuncio più importante del presidente Xi Jinping alle celebrazioni del centenario del partito comunista cinese, fissate per il 23 luglio a Pechino.
L’intelligence americana ritiene che l’obiettivo del programma sia quello di ricreare nello spazio lo stesso modello di espansione industriale, infrastrutturale e commerciale che ha permesso alla Cina di conquistare un ruolo chiave nell’economia mondiale in poco più di un decennio.
In sostanza il piano-gemello della «Belt and Road Initiative», lanciata nel 2013 sulla Terra, si basa sulla costruzione nello spazio di una grande rete di satelliti, stazioni orbitali e basi lunari, funzionali non solo alle esigenze strategiche del Governo cinese, ma concepite soprattutto per lo sfruttamento industriale e commerciale delle risorse extra-terrestri. Sulla luna – dove la navicella cinese Lunga Marcia ha appena prelevato 4 chili di rocce in cerca di minerali e materie prime preziose, come le terre rare – due società minerarie americane e una cinese sono già pronte per aprire i cantieri.
Business miliardario
Nella sola zona “cislunare”, quella tra il pianeta Terra e la luna, dove sia la Cina che gli Stati Uniti hanno deciso di collocare basi stabili, la China Aerospace Science and Technology Corporation ha stimato in 10mila miliardi di dollari il business potenziale per l’industria aerospaziale. Con queste cifre, anche la guerra fredda congela nello spazio: l’epoca delle missioni-bandierina si è chiusa per sempre.
In quella che si sta aprendo, le missioni nello spazio si basano sull’analisi costi-ricavi. Quello che conta è dimostrare di avere tecnologie migliori degli altri: la scelta del centenario del partito comunista per lanciare la Space Road si muove proprio in questa direzione. Pechino è l’ultima superpotenza ad aver conquistato la luna: ora vuole essere la prima nell’economia dello spazio.
Solo un mese fa, con il successo della missione «Chang’e-5», la Cina ha raggiunto Russia e Stati Uniti nell’élite dei Paesi che hanno riportato sulla terra delle pietre lunari. Nel gennaio 2019, Chang’e-4 era diventata la prima navicella spaziale ad atterrare sul lato più lontano della luna, dove ha lasciato un rover (Yutu-2) che è ancora operativo.
Pechino brucia le tappe
Oggi la Repubblica Popolare Cinese è l’unica superpotenza che ha effettuato tre atterraggi sulla luna nel ventunesimo secolo. Ma il 2021 sarà l’anno del grande salto del Dragone nello spazio. Il 10 febbraio partirà infatti la prima missione indipendente cinese su Marte, dove tenterà di entrare in orbita la nave spaziale Tianwen-1: se tutto fila liscio, la capsula passerà circa due o tre mesi in cerca di un sito di atterraggio per depositare un rover simile a quello sperimentato con successo sulla luna. A quel punto, la tecnologia aerospaziale cinese potrebbe raggiungere in un solo tentativo un obiettivo che gli americani hanno raggiunto nell’arco di trent’anni.
Se sulla Via della Seta la Cina ha speso quasi mille miliardi di dollari in sette anni, il budget per la Via dello Spazio sembra infinito. Già per la fine di quest’anno sarà ultimata l’integrazione delle stazioni di trasmissione satellitare di terra (nuove basi sono state costruite in Nigeria e altri Paesi dell’Africa subsahariana) e sarà pienamente operativa anche la nuova rete di osservatori astronomici dell’Accademia Cinese delle Scienze, compreso il più grande radiotelescopio orientabile del continente asiatico: un’antenna di 70 metri di diametro in grado di ricevere dati e comunicazioni da e per Marte.
Del resto le esportazioni spaziali cinesi, compresi i satelliti e i servizi di lancio associati, hanno aiutato il premier Xi Jinping non solo a costruire solidi legami con i governi dei Paesi emergenti (tra cui in particolare Nigeria e Bolivia), ma anche a far leva sul programma di investimenti della Silk Road – a cui hanno aderito finora 72 Paesi del mondo – per gettare le basi della successiva rete commerciale nello spazio.
La battaglia delle Tlc
Per la Cina l’escalation degli investimenti spaziali ha anche un obiettivo più immediato e concreto: proteggere l’industria nazionale delle telecomunicazioni dalle ripercussioni dello scontro commerciale e tecnologico con gli Stati Uniti. Il boicottaggio americano (e in parte europeo) delle esportazioni dalla Cina degli smart phones del gruppo Huawei è solo la punta dell’iceberg dello scontro politico e industriale scatenato dall’avvento delle nuove tecnologie mobili. La sospensione di due compagnie telefoniche cinesi alla Borsa di Wall Street, per esempio, è stata interpretata da Pechino come una vera ritorsione per la supremazia tecnologica cinese nelle reti di trasmissione satellitari ad altissima velocità, a cominciare dal 5G.
La Cina è il re del mercato delle Tlc nel 21esimo secolo, proprio come l’Inghilterra era stata la prima potenza telegrafica commerciale del mondo nel 19esimo. Di qui il rilancio sulla sfida americana.
Solo pochi giorni fa sono partite le sperimentazioni sul primo satellite 6G mai lanciato nello spazio, alzando ulteriormente la tensione anche con la nuova Casa Bianca di Joe Biden. La realtà è che gli Stati Uniti stanno ancora lanciando il 5G, a passo di lumaca.
Il nuovo satellite cinese, chiamato Star Era-12, ha bande di frequenza così alte che devono essere testate nello spazio in modo che i segnali non si perdano così facilmente come nell’aria: quanto siano veloci le bande non è noto, ma si stima un intervallo tra 100 e 500 Gigahertz, un livello 100 volte più veloce del 5G.
Industria e geopolitica
Il successo dell’integrazione tra le due Silk Road è insomma strategico per la Cina. Un programma spaziale avanzato ed economicamente sostenibile rappresenta un salto di qualità nel ruolo geopolitico, ma soprattutto sotto il profilo industriale. Non è un caso che gran parte dei dirigenti, ingegneri e tecnici aerospaziali cinesi impegnati nella prima fase del programma spaziale siano stati trasferiti ora presso la Comac, la Commercial Aircraft Corporation of China, dove Pechino sta progettando di produrre aerei di linea per fare concorrenza alla Boeing e ad Airbus. L’obiettivo è chiaramente di trasferire le competenze apprese nell’industria aerospaziale nello sviluppo e produzione di aeromobili commerciali.
Comunque sia, è nell’orbita terrestre e in quella della luna che la Cina intende giocare le sue carte migliori. Le basi spaziali orbitanti, come quelle fisse in microgravità sulla superficie lunare, sono funzionali non solo all’economia dello spazio, ma (soprattutto nell’immediato) anche a quella della terra: per la Cina, il modello di riferimento in questo campo è il business sviluppato da Russia, Nasa ed Esa nei moduli scientifici della Stazione Spaziale Internazionale.I soci del consorzio spaziale hanno aperto alle imprese private le opportunità di ricerca avanzata offerte dalla microgravità.
Ricerca spaziale e vaccini
La ricerca scientifica in bassa orbita terrestre bassa si è rivelata non solo estremamente importante per il futuro dell’esplorazione spaziale, ma anche per la vita e gli affari sul pianeta. Le sperimentazioni per conto di aziende private nei moduli del’International Space Station sono state fondamentali non solo per il bilancio del consorzio, ma soprattutto per importanti progressi nella medicina, nella farmacologia, nell’ingegneria e nell’agricoltura.
Dal mese scorso, tra l’altro, la Stazione orbitale è diventata il laboratorio anti-Covid più avanzato che esista: con la ventunesima missione di SpaceX è partita la sperimentazione nello spazio del Remdesivir, il farmaco anti coronavirus sviluppato dal colosso delle biotecnologie Gilead Sciences. Non è la prima collaborazione spaziale tra agenzie nazionali e società private, ma è certamente la più importante.
Dietro la corsa della Cina allo spazio, insomma, comincia a delinearsi uno scenario competitivo in cui gli interessi strategici delle superpotenze si giocano sempre più sull’asse commerciale e tecnologico con il settore privato, e sempre meno sui tradizionali confronti geopolitici.
Sceriffi siderali
Gli Stati Uniti, che nei confronti della Cina manterranno la linea della “tolleranza zero” anche nel dopo-Trump, seguono con grande diffidenza la marcia cinese verso i confini dell’orbita terrestre. Il 19 dicembre scorso, tre giorni dopo il rientro della navicella cinese dalla luna, e nel pieno del caos per la sconfitta elettorale, Trump ha firmato un ordine esecutivo che ha lasciato governo e generali cinesi a bocca aperta: la costituzione ufficiale della United States Space Force, la prima forza spaziale americana di intervento strategico del nuovo millennio. Se non fosse stato un provvedimento sollecitato dal dipartimento della Difesa, dalla Cia, dalla Nasa e dal Pentagono, nessuno oggi lo prenderebbe sul serio. Al contrario, il dossier sul Sesto corpo armato delle Forze Armate degli Stati Uniti è stato subito consegnato dalla nuova amministrazione democratica alla ratifica del Congresso con approvazione soggetta a procedura d’urgenza.
Nel decreto l’obiettivo dichiarato della Forza Spaziale è «la tutela degli interessi americani in campo tecnologico e aerospaziale oltre i confini della terra». Manca solo il nome della Cina per indovinare chi sia il bersaglio.
Spazioporto aperto ai privati
Ma la risposta americana alla nuova sfida di Pechino va ben oltre i futuri guardiani dello spazio: «Deep Space Gateway» è un mega-programma di sfruttamento della fascia cislunare, la stessa individuata da Pechino per la Space Silk Road. L’obiettivo della Nasa è la costruzione del cosiddetto Lunar Gateway Cislunare, prossimo avamposto per i viaggi nello spazio profondo. In sintesi, si tratta di un vero spazioporto su piattaforma fissa riutilizzabile, dotato di laboratori scientifici e in grado di ospitare astronauti per lunghi periodi. Le missioni di servizio e le operazioni a bordo della struttura saranno sviluppate e svolte in collaborazione tra Nasa, società aerospaziali private e altri partner internazionali, tra cui probabilmente anche l’Agenzia spaziale europea. La Fase due del progetto Gateway culminerà intorno al 2030 con una missione della durata di un anno in orbita lunare.
Mosca punta su Marte
Anche la Russia, al contrario dell’Urss, guarda allo spazio soprattutto in cerca d’affari. Roscosmos, l’agenzia che dalla caduta dell’Unione Sovietica raggruppa tutte le attività aerospaziali della Federazione russa, è tra i più importanti fornitori di servizi di lancio per usi militari, oltre che per imprese private nazionali ed estere. Anche Mosca sta lavorando per organizzare una missione su Marte, l’operazione ExoMars, in collaborazione con l’Agenzia spaziale europea.La prima tappa di ExoMars (il Trace Gas Orbiter) è stata lanciata con successo nel 2016, mentre un rover è stato sul pianeta nel 2020. Alcune indiscrezioni affermano che la Russia sia interessata allo sviluppo di una serie di missioni lunari robotiche, chiamate Luna-Glob. In realtà, le restrizioni di bilancio hanno finora ritardato i progressi.
Le tre superpotenze dell’era digitale, insomma, hanno trovato nell’economia dello spazio lo sbocco naturale per la ridefinizione degli equilibri geopolitici e dei rapporti di forza tra sistemi industriali nel dopo-pandemia. Certo, il futuro sarebbe meno incerto per tutti se la scoperta delle risorse e delle opportunità offerte dalle missioni spaziali fosse un patrimonio condiviso, come peraltro stabilisce anche il Trattato del 1959 delle Nazioni Unite sullo sfruttamento dello spazio. Al contrario, una cooperazione spaziale tra Cina e Stati Uniti è per ora impossibile: una legge del 2011 addirittura vieta alla Nasa ogni collaborazione con l’agenzia spaziale cinese o con società di proprietà del governo comunista.
Arena di scontro
Con l’amministrazione Biden che si è appena insediata alla Casa Bianca, è troppo presto per capire fino a dove si spingerà il nuovo presidente americano nella competizione sullo spazio: con il costo della pandemia che sale in modo esponenziale, è molto difficile pensare a un bonus straordinario per il bilancio della Nasa. Ma anche nel caos dei rapporti geopolitici – e con l’economia mondiale alla deriva e senza una cabina di regia – lo spazio è un’arena in cui le superpotenze sono destinate a confrontarsi. Se non lo faranno loro, ci penseranno le corazzate private del trasporto spaziale, le società della Silicon Valley guidate dai nuovi capitani coraggiosi dell’era digitale.
Quello che è certo è che la spinta propulsiva dei razzi spaziali cinesi somiglia molto a quella delle grandi navi cargo che girano il pianeta cariche di container con i prodotti made in China: se la Cina continuerà a tenere la stessa rotta, la Fiera di Shangai del 2121 sarà sicuramente nella zona cinese della luna. Dopo la conquista del commercio globale, la “lunga marcia” punta dritta alla conquista dello spazio.