il Giornale, 31 gennaio 2021
Soldati in smart working in Svizzera
«Attenti». Ore 8 del mattino. Volkan, 20 anni, gonfia il petto e porta rapidamente alla fronte la rigida mano destra. I suoi occhi non fissano generali in carne e ossa, ma lo schermo di un pc. Il freddo gelido della caserma ha lasciato spazio all’ambiente climatizzato della sua cameretta e di scarponi neanche l’ombra, Volkan indossa pantofole e si sfrega i piedi con una certa serenità. Insieme a migliaia di connazionali inizia così il servizio militare nell’anno domini 2020. È il 18 gennaio ed è il primo giorno di scuola reclute per 12mila giovani svizzeri, ma la metà di loro seguirà le prime tre settimane di addestramento da casa, tramite un’app. Il rischio di contagi tra le truppe era troppo alto, così lo Stato Maggiore Generale dell’esercito elvetico si è inventato l’addestramento da remoto per 6mila giovani soldati. Volkan rientra in questa metà, ben presto definita ironicamente dai media locali «esercito da divano». «Sono convinto che in caserma ci si possa preparare meglio che a casa – racconta a Ticinonline il 20enne, che assolve la scuola reclute al «Rifornimento 45» di Friburgo -. In particolare per quanto riguarda la pratica, per esempio con l’arma: è una cosa che al computer non si può proprio imparare». Già, perché la recluta della «home army» per 6 ore al giorno, tutti i giorni, dovrà esercitarsi a maneggiare il Fass 90, un mitragliatore da 900 colpi al minuto con proiettili calibro 5,56. E dovrà farlo da solo, a distanza, con un’app. Per farsi un’idea, basti pensare che si tratta di un fucile d’assalto (prodotto dalla Swiss Arms AG) simile al più noto M4 americano, in dotazione alle forze speciale statunitensi. Proprio per i rischi connessi alle modalità di apprendimento di questa specifica abilità (ma non solo), in tutto il Paese si è levato un polverone. Specie se si considera che in Svizzera ogni militare può conservare in casa la propria arma, anche dopo il congedo. Qualcuno ha poi fatto notare che già oggi le reclute elvetiche pecchino di superficialità: sono in tanti, tantissimi ad avere il vizietto di dimenticare fucili d’assalto, sacche con la divisa e armi d’ordinanza. Il 2017 è stato un anno da record per le disattenzioni dei giovani militari, con decine e decine di dotazioni lasciate sul treno, in auto o per strada. Un vero e proprio fenomeno sociale, che in molti pensano debba essere contrastato con più rigore e non certo con l’addestramento a distanza.
Intanto allo Stato Maggiore sono arrivate centinaia di telefonate di proteste e di richieste di chiarimenti sulla nuova figura di «recluta domestica». Persino il presidente della Società svizzera degli ufficiali dell’esercito è insorto: «Il servizio militare ha un carattere pratico e sociale che non può essere sostituito dall’e-learning». Ma il portavoce dell’esercito svizzero, Daniel Reist, la fa semplice: «Bastano un pc e una connessione internet e si riceve la chiave d’accesso a un software protetto. Questa modalità dovrebbe evitare che 12mila giovani affluiscano in un colpo solo nelle camerate, trasformando l’esercito in un lazzaretto. Così facendo, quantomeno, dimezzeremo le quarantene, ci affidiamo alla responsabilità individuale». Così, nel Paese che non vanta certo l’esercito più noto al mondo (è composto da 140mila unità e 77mila riservisti) se non per la presenza in Vaticano, il virus è riuscito a cambiare persino le modalità di arruolamento militare. D’altronde in quasi un anno di pandemia sono centinaia i soldati che durante i giorni di licenza si sono contagiati per poi trasmettere il virus ai commilitoni una volta rientrati in caserma.
La decisione ha diviso non solo l’opinione pubblica svizzera, ma anche le reclute stesse. Per un Simon che si dice «felice che l’inizio della scuola reclute sarà scaglionato e che potrò passare a casa le prime settimane», c’è un Mario che preferisce «cominciare subito in caserma». Per un Geronimo che ritiene di aver «ottenuto la soluzione migliore. In questo modo possiamo restare nel nostro ambiente e incontrare gli amici», c’è un Sandro che si dice «convinto che le reclute a casa si impegneranno molto». E così via. Il mondo delle reclute svizzere è oggi una babele di interrogativi, supposizioni, di se e di ma. Ma la sintesi più emblematica la fanno forse due reclute 19enni che sono invece capitate dall’altra parte della barricata e che cominceranno in caserma, alla vecchia maniera. «Da casa nessuno si impegnerà. Alla fin dei conti non ho mai conosciuto nessuno che era motivato iniziando la scuola reclute», spiega senza mezzi termini Viktor, pronto a entrare in caserma a Frauenfeld. Gli fa eco Michael, già partito alla volta della caserma di Coira: «Non mi infastidisce il fatto che noi dobbiamo entrare in servizio in caserma, mentre altri per tre settimane possono ancora restare a casa. Ma chi non si preparerà a sufficienza se ne pentirà al più tardi al momento della verifica in caserma. Ho la sensazione che in molti la dovranno ripetere più volte. E quindi per più settimane non potranno rientrare a casa». Come le altre 6mila reclute, Viktor e Michael sono già destinati ai battaglioni sanitari, che raggiungeranno i diversi ospedali del Paese per dare sostegno al personale impegnato nella lotta al Covid. Dopo la crescita esponenziale dei casi dalla seconda ondata, oggi il Paese – che conta solo 8 milioni e mezzo di abitanti (meno della Lombardia) – viaggia su una media di 2mila positivi al giorno e fatica non poco a gestire il flusso di pazienti Covid.