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 2021  gennaio 31 Domenica calendario

Su "Extraterrestrial" dell’astronomo Avi Loeb

Potrebbe sembrare un ciarlatano, uno che tiene un martello in mano e vede chiodi ovunque, come ha scritto Der Spiegel cavalcando la campagna di odio nei suoi confronti. Ma i bravi falegnami, avrebbe voluto rispondere Avi Loeb, non solo non vedono chiodi ovunque, ma sono abituati a cogliere le differenze minime in un oggetto. L’ipotesi che sostiene da anni appare immaginifica ma è fondata su fatti e dati incontrovertibili. Lo strano oggetto interstellare a forma di sigaro piatto, che venne intercettato nell’ottobre 2017 per ben undici giorni dai potenti telescopi delle Hawaiì, e perciò detto Oumuamua, mentre viaggiava verso la Terra da Vega, stella a 25 anni luce di distanza, percorrendo una traiettoria iperbolica prima di uscire dal nostro sistema solare a una 58.900 miglia all’ora, sfuggendo alla gravità del sole, a dire di Avi Loeb non era una cometa e nemmeno un asteroide, non era un oggetto naturale, ma un visitatore extraterrestre. Anzi era un relitto tecnologico appartenente a una civiltà aliena rispetto alla nostra di umani abitanti sul pianeta terra, e per di più intelligente. 
L’UNIVERSO
Potrebbe essere un patito di fantascienza, convinto che l’universo sia troppo smisuratamente vasto perché gli uomini possano essere i soli ad abitarlo. E invece il professore Loeb è uno degli astrofisici più eminenti del mondo. Cattedra a Harvard, per anni ha diretto il dipartimento di Astronomia e anche ha fondato il Black Hole Initiative per studiare i buchi neri che catturano la materia sino a farla scomparire oltre lo spazio e il tempo. Inoltre ha guidato l’Institute for Theory and Computation in seno allo Smithsonian Center for Astrophysics e lì, nel 2015 grazie un miliardario della Silicon Valley di origine sovietica col pallino della vita extraterrestre, ha guidato il progetto di una sonda iperleggera e iperveloce con la quale raggiungere il sistema stellare più vicino al nostro, e cioè le tre stelle Alpha Centauri, orbitanti a 4.27 anni luci di distanza. Per far questo, dopo vari tentativi per far quadrare la distanza interstellare col tempo limitato della vita umana, ha concepito un microchip collegato con una fotocamera a una spada laser con una vela di luce di 34 m2. 

IL GENIO
In realtà Avi Loeb prima di essere un genio è un israeliano, nato nel moshav di Beit Hanan, comune agricola a venti chilometri da Tel Aviv, fondata da ebrei bulgari durante il mandato britannico, dove suo padre, che coltivava alberi di noce, era approdato con suo nonno, fuggito nel 1936 dalla Germania nazista, dopo aver fatto la Prima guerra mondiale ed essere sopravvissuto a Verdun. E dove sua madre, ebrea bulgara scampata allo sterminio grazie alla monarchia filosemita, era arrivata nel 1948, si era laureata in letteratura comparata e aveva trasmesso al figlio l’amore per i libri di Sartre e Camus. 
Loeb che voleva studiare filosofia, opta per fisica e matematica; viene reclutato in un progetto speciale per una ricerca legata alla difesa militare, si laurea, brevetta un sistema di propulsione elettrico per proiettili ad alta velocità, che negli anni delle Star Wars di Ronald Reagan riceve fondi Usa, ottiene il PhD studiando le interazioni elettromagnetiche nei plasma, e miracolosamente approda a Princeton dove un genio dell’astrofisica gli offre una borsa di studio per cinque anni.

LO STUDIO
«Non sapevo nemmeno cosa faceva brillare il sole, ma mi misi a studiare l’origine dell’universo, come e quando la materia atomica è stata trasformata in plasma», confessa oggi in quest’autobiografia che si legge come un thriller e rischia di cambiarvi la vita, tanto la passione della scienza nasce dall’amore per la natura e le ipotesi più assurde prendono i colori dell’avventura. E infatti, Sherlock Holmes, altro suo maestro di pensiero diceva, «Quando hai eliminato l’impossibile, qualunque cosa resti, per quanto improbabile, dev’essere la verità».