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 2021  gennaio 31 Domenica calendario

22QQAFA10 Sul nuovo romanzo di Kazuo Ishiguro

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«Dobbiamo costruire un mondo poetico intorno a noi, e vivere nella poesia», scrive Novalis in una lettera del 1799 a Caroline Schelling: il compito del poeta è la realizzazione dell’infinito. La percezione, per Novalis, fatta di pensiero e visione e sentimento, danza perennemente al confine dell’incomprensibile: la poesia – e il poeta – come Erscheinung, «apparizione». 
Come può costruire un mondo poetico una percezione precisissima, letteralmente sovrumana, un’intelligenza amplificata esponenzialmente dalla tecnologia, priva però del «cuore umano»? È la domanda al centro del nuovo romanzo di Kazuo Ishiguro, Klara and the Sun che verrà pubblicato negli Stati Uniti da Knopf il 2 marzo e che «la Lettura» ha potuto leggere in anteprima.
È la prima uscita dell’autore britannico dopo il Nobel per la Letteratura nel 2017, premio che in passato ha a volte incarnato la versione libresca della Legge di Gresham – letteratura cattiva scaccia letteratura buona – ma che in questo caso ha visto giusto, specialmente andando a rileggere la sintetica motivazione dell’Accademia: «Attraverso emozionanti romanzi di grande forza, ha svelato l’abisso sotto il nostro illusorio senso di connessione con il mondo».
Nella sua conferenza davanti all’Accademia, l’autore britannico nato in Giappone nel 1955 fece una breve digressione che, tre anni dopo, appare come l’annuncio del romanzo al quale stava lavorando: «Nuove tecnologie genetiche – l’editing genetico Crispr – e il progresso di intelligenza artificiale e robotica ci porteranno vantaggi sorprendenti che salveranno innumerevoli vite, ma potranno anche creare meritocrazie selvagge che assomigliano all’apartheid, e massiccia disoccupazione, anche per quelli delle attuali élite professionali. Quindi eccomi qui, un uomo sulla sessantina, che si stropiccia gli occhi e prova a distinguere i contorni, là fuori nella nebbia, di questo mondo sconosciuto, del quale fino a ieri non conoscevo, né sospettavo l’esistenza».
Klara, protagonista e voce narrante del romanzo, è un’«amica artificiale», una «Af» (Artificial Friend), una specie di tata-automa, comprata in negozio da una bambina, Josie, anche se la mamma avrebbe preferito il modello più avanzato, B3, appena uscito, che ha reso quelli come Klara obsoleti. La scelta di Ishiguro, coraggiosa, è quella di affidare il libro al punto di vista di Klara: e se la voce narrante è quella di un’intelligenza artificiale che vede tutto ma fa fatica a capire le relazioni umane, e cerca di comporne i pezzi come in un puzzle senza punti di riferimento, il premio Nobel stipula con il lettore un patto. Ci chiede di pazientare, di seguire Klara regalandole un po’ della nostra empatia mentre cerca di prendere le misure alla vita domestica, impresa complicatissima per lei che conosceva soltanto il negozio, descritto nello strabiliante incipit: «Quando eravamo nuove, Rosa e io eravamo esposte a metà del negozio, dalla parte del tavolo con le riviste, e potevamo vedere la strada attraverso una buona metà della vetrina».
Sorridiamo quando a casa di Josie e della sua famiglia Melania Governante – Klara la chiama così, come se fossero nome e cognome – sposta il frullatore «quattro volte in altrettanti minuti» mandando in confusione la metodica tata-robot. Ci preoccupiamo quando la famiglia di Josie dimostra di avere qualche segreto, cose molto brutte che Klara ancora non capisce e noi riusciamo già a intuire. Che cos’è una famiglia? – si chiede Klara, cercando di imparare più che può raccogliendo dati, cioè analizzando i comportamenti di tutti.
Ishiguro ritorna sui temi che lo ossessionano: come il maggiordomo Stevens di Quel che resta del giorno (edito da Einaudi, come tutto Ishiguro in Italia), Klara è al servizio di un padrone imperscrutabile destinato a spezzarle il cuore (se lo avesse: ce l’ha?), come il pittore di Un artista del mondo fluttuante Klara è costretta a fare i conti con la sua inevitabile obsolescenza; come ne Il gigante sepolto, la memoria è sfuggente, inafferrabile, inaffidabile; e, soprattutto, come in Non lasciarmi — il libro di Ishiguro finora più amato, e considerato il più riuscito: Karla potrebbe cambiare le cose – in questo ottavo romanzo dell’autore britannico c’è una sorpresa terribile che attende la protagonista e i lettori.
Klara and the Sun è fatto di scene memorabili che si inseguono: le sedute di Josie con l’inquietantissimo ritrattista Mister Capaldi (perché non ci lascia mai vedere il suo lavoro?), l’infernale «macchina Collings» che produce inquinamento, l’ossessione di Klara per il sole anzi il Sole con la maiuscola come lo chiama lei.
Klara – e Ishiguro – quando viene rivelato il segreto che dà senso al romanzo, ci fanno una domanda: che cosa ci rende quelli che siamo? Di che cosa è fatta la nostra individualità? Che cosa ci rende speciali, ammesso che speciali lo siamo davvero?
Ishiguro è uno dei Nobel letterari meno snob di sempre – con l’eccezione forse di Dario Fo, e in questo Bob Dylan è fuori categoria – perché ammette serenamente di avere come punti di riferimento sia Gustave Flaubert sia Tom Waits, dai quali ha imparato cose fondamentali e senza i quali non sarebbe lo scrittore che è. Spiegando al «Guardian» perché Quel che resta del giorno non sarebbe il romanzo che è, Ishiguro qualche anno fa ha ricordato che l’avere ascoltato Ruby’s Arms di Tom Waits – la canzone di un soldato che lascia la sua ragazza mentre ancora lei sta dormendo – ha cambiato tutto: «Arriva un momento in cui il protagonista ammette che il suo cuore si sta spezzando, che è una cosa che ti commuove in modo devastante a causa della tensione tra il sentimento stesso e l’enorme resistenza che è stata ovviamente superata per pronunciarlo. Waits canta quel verso con catartica magnificenza, e senti una vita di stoicismo crollare di fronte a una tristezza travolgente». Fu così che Ishiguro comprese che il maggiordomo Stevens, che immolò la sua vita per diventare il servitore ideale di un padrone ignobile, impedendo a sé stesso di ricambiare la donna che lo amava, «sarebbe rimasto emotivamente abbottonato fino alla fine», fino al momento in cui l’armatura si fosse incrinata.
In Klara and the Sun Ishiguro non ha questo lusso: l’armatura emotiva di un robot non si può incrinare. Però, ed è una lezione che l’autore ha capito guardando in Vhs, tanti anni fa, un vecchio film anni Quaranta di Howard Hawks, tutti i limiti strutturali di un personaggio possono essere superati compensandoli attraverso il lavoro sui rapporti tra un personaggio e l’altro, tra quello che li lega: Klara capisce, o meglio impara, che noi umani non siamo poi così speciali, ma a essere speciale è l’amore che gli altri hanno per noi. L’amore ci rende unici. Ci rende quelli che siamo.

Il libro è diviso in sei parti: l’ultima, di sole diciotto pagine, è straordinariamente emozionante e destinata a un posto speciale nella bibliografia del premio Nobel. L’editore americano, Knopf, inizialmente puntava a una prima tiratura di 150 mila copie, che per un romanzo serio, «letterario», di un premio Nobel, che trascende i generi (non è fantascienza) sono già tantissime. Le prime reazioni, quando nelle ultime settimane le bozze hanno cominciato a girare tra addetti ai lavori e buyer di librerie, sono state talmente positive da far salire la tiratura. Ishiguro, da Londra in stretto lockdown, parteciperà a una serie di presentazioni virtuali.
Faber & Faber, da sempre l’editore britannico di Ishiguro (esordiente, fu scoperto dall’allora direttore editoriale Robert McCrum, poi capo della redazione Cultura dell’«Observer» e biografo di P. G. Wodehouse) ha preparato una campagna molto bella, con l’illustrazione minimalista di un sole arancione e lo slogan «Il sole sa sempre come trovarti».
Il Sole, la divinità pagana che attrae inspiegabilmente Karla dalla prima pagina e l’accompagna fino all’ultima, una piccola struggente poesia. La poesia, diceva Novalis, che guarisce le ferite inferte dall’intelletto. Ci raccontiamo storie per vivere.