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 2021  gennaio 31 Domenica calendario

Un moscerino è la top model dei laboratori

La minuscola mosca che vediamo aggirarsi in autunno tra i bicchieri pieni di vino nuovo appartiene molto probabilmente a una delle specie animali che hanno contribuito di più al progresso delle scienze della vita, non a caso la prima a essere inviata nello spazio. La presenza del moscerino della frutta nei laboratori iniziò nel 1908, quando il genetista americano Thomas Hunt Morgan e i suoi collaboratori cominciarono i loro esperimenti nella famosa Fly Room, la stanza delle mosche, alla Columbia University di New York.
Nelle pubblicazioni di Morgan questo animaletto veniva chiamato Drosophila ampelophila. Secondo l’etimologia, amante della rugiada e dell’uva. Un nome azzeccato, scomparso però dalla letteratura scientifica perché si è scoperto che la piccola mosca aveva ricevuto, prima di questo, il nome di Drosophila melanogaster, che fa allusione al colore nerastro dell’addome dei maschi. La priorità, almeno nei nomi scientifici, va rispettata.
La scelta di questa specie come modello per gli studi di genetica si rivelò presto vincente. Il gruppo di Morgan dimostrò che i fattori che controllano l’eredità (ai quali nel 1905 il botanico danese Wilhelm Ludvig Johannsen aveva dato il nome di geni) sono localizzati sui cromosomi e questo fece guadagnare a Morgan nel 1933 il Nobel per la Fisiologia o la Medicina. 
Altri cinque Nobel scandiscono la storia dei successivi contributi delle ricerche condotte sulla drosofila al progresso delle conoscenze. Le scoperte per le quali venne assegnato questo riconoscimento rivelano la rapida evoluzione delle tematiche di punta e dei progressi nelle tecniche di studio. Nel 1946 fu la volta di Hermann Joseph Muller, allievo di Morgan, che sul moscerino della frutta studiò le mutazioni indotte dal bombardamento con raggi X.
Fino a quegli anni, e per qualche tempo ancora, gli studi di genetica riguardavano quasi esclusivamente la trasmissione delle caratteristiche ereditarie da una generazione alla successiva. Solo più tardi furono messe a punto le tecniche necessarie per studiare in che modo lo sviluppo è controllato dai geni. Per qualche tempo, Drosophila melanogaster non fu più la star dei laboratori di genetica molecolare: il suo posto era stato preso da altri organismi modello come la muffa Neurospora e il batterio Escherichia coli. Le drosofile continuarono sì a essere importanti per i biologi, ma l’interesse per loro si era spostato dal laboratorio agli ambienti naturali, teatro di ricerche sull’evoluzione delle popolazioni, allargate a specie diverse da Drosophila melanogaster, la classica fruitfly o moscerino della frutta.
Quest’ultima, però, non tardò a riprendere la sua posizione di specie modello, negli anni in cui prese avvio la moderna genetica dello sviluppo. Emblematica è rimasta la copertina di un numero del 1980 della rivista «Nature» con le immagini di larve di drosofila formate da un numero di segmenti pari a circa la metà del normale. La copertina rinviava a un articolo in cui Christiane Nüsslein Volhard e Eric F. Wieschaus annunciavano l’identificazione dei geni mutanti responsabili di queste anomalie. Identificati i geni, si apriva la strada verso la scoperta di ciò che fanno questi geni: quando sono espressi, cioè trascritti sotto forma di Rna messaggero, e poi tradotti in proteine, e in quali parti dell’embrione, e come questa espressione è regolata. Da allora, la drosofila ha ripreso la sua importanza critica per la biologia. Certo, nel frattempo anche altre specie hanno assunto un valore speciale per la ricerca, ma intanto, nel 1995, gli studi sui geni che controllano l’architettura del corpo della drosofila avevano fatto avere il premio Nobel a Nüsslein-Volhard e Wieschaus, che lo condivisero con Edward B. Lewis.

Il premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina del 2004 fu assegnato congiuntamente a Richard Axel e Linda B. Buck per le loro scoperte sui recettori olfattivi: buona parte degli esperimenti di Axel era stata condotta sui moscerini della frutta, così come le ricerche di immunologia di Bruce Beutler, Jules Hoffmann e Ralph Steinman, ai quali è andato lo stesso premio nel 2011. L’ultimo Nobel attribuito a studiosi che hanno usato Drosophila melanogaster come specie modello è andato nel 2017 a Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Youn per i loro lavori sui meccanismi molecolari che controllano l’orologio biologico interno, il meccanismo che aiuta un animale (uomo compreso) a mantenere un ritmo fisiologico regolare nell’alternanza fra il giorno e la notte.
È arrivata, intanto, l’era della genomica e la drosofila è uno dei primi organismi per il quale viene determinata l’intera sequenza del genoma, che si stima contenga circa 15.700 geni.
A poco più di un secolo dal suo ingresso nella Fly Room di Morgan, è facile tracciare un elenco delle ragioni dello straordinario successo del moscerino della frutta. Tra queste, la facilità con cui può essere allevato, l’alta fecondità (una femmina depone anche cento uova al giorno e più di mille nel corso della sua breve esistenza) e, fattore particolarmente importante, uno sviluppo molto veloce: a 28 gradi Celsius, la condizione adulta viene raggiunta appena sette giorni dopo la deposizione dell’uovo.
Eppure, proprio quest’ultima circostanza rende la drosofila poco rappresentativa, anche nei confronti degli altri insetti. Infatti, l’estrema rapidità con cui si svolge il suo sviluppo porta a un accavallarsi di eventi che non ha riscontro, ad esempio, nell’ape o nella cavalletta. Tempi e modi in cui si esprimono i geni che controllano la realizzazione del piano corporeo dell’animale sono dunque molto diversi. C’è un limite al successo, anche per una top model come la piccola mosca dalla pancia nera, amica della rugiada.