La Lettura, 31 gennaio 2021
QQAN64YANIMALI Meglio vivere come i gatti
QQAN64YANIMALI
La coscienza umana è sopravvalutata. Meglio vivere come i gatti. Ne è convinto John Gray, filosofo britannico, autore del saggio Filosofia felina. I gatti e il significato dell’esistenza (Rizzoli), ispirato al compagno felino di una vita, Julian, gatto sacro di Birmania. Il micio, infatti, ha avuto secondo Gray un grande merito. Ha dimostrato di praticare quotidianamente, per vent’anni, quello che lo scetticismo e l’epicureismo hanno un tempo predicato: l’atarassia, mostrando al filosofo come applicare all’esistenza i più antichi principi della filosofia.
«Dai gatti possiamo imparare a non vivere in un futuro solo immaginato», scrive Gray, ricordando però di non essere il primo a trarre ispirazione dai felini tra i pensatori più affermati (Gray, oltre che autore, è stato docente di pensiero europeo alla London School of Economics and Political Science). Schrödinger, come è noto, ha illustrato la fisica quantistica con un esperimento mentale basato sul destino di un gatto in una scatola mentre Michel de Montaigne considerava il gioco con il micio alla stregua di un esercizio filosofico, praticato per calmare la mente da un eccesso di elucubrazione e per tornare a una dimensione spensierata – addirittura, secondo Saul Frampton, autore de Il gatto di Montaigne (Guanda, 2012) —, il felino avrebbe giocato un ruolo determinante nella vita dell’intellettuale francese ispirandolo per la scrittura dei Saggi.
E se già in un testo precedente, Cani di paglia (Ponte alle Grazie, 2003), Gray ha fatto ricorso al mondo animale per smantellare l’impianto della filosofia occidentale, colpevole di piazzare l’umanità al di fuori dei vincoli della natura, stavolta l’autore compie un passo in più. Non il pensiero occidentale, ma l’attività intellettuale in sé, con la ricerca di un significato nascosto nella natura e nell’esperienza, è fonte di sofferenza. L’uomo, spiega Gray, si è rivolto alle ideologie per provare a ordinare il caos e ha cercato nelle religioni un senso al dolore. Al posto della saggezza e della calma, però, ha trovato risposte frammentate e parziali alle grandi questioni umane e ha incontrato angoscia e tormento.
I gatti, invece, ci mostrano che non c’è bisogno di cercare una ragione per essere felici. Poiché i felini non cercano un senso a ogni costo e non hanno pretese intellettuali, non sono nemmeno alla ricerca di un’astratta vita perfetta. I gatti accettano quella che hanno, trovando la pace nella semplice esperienza di ogni giorno. E se anche noi facessimo come loro, lasciando le ideologie e le religioni da parte, cosa ci resterebbe? La pura sensazione della vita, scrive Gray, in tutta la sua pienezza e meraviglia.
Per il filosofo inglese sono addirittura dieci gli insegnamenti che potremmo trarre dall’attitudine felina; tra questi: smettere di lamentarsi per la mancanza di tempo e mantenere una certa distanza da chi si offre di farci felici a tutti i costi. In più, sostiene, c’è un motivo per cui sono i gatti ad essere maestri di vita e non i loro competitori diretti, i cani. Questi ultimi, infatti, sono stati addomesticati per fare piacere ai padroni perdendo così la capacità di indicarci una via alternativa. Inoltre i cani per ragioni evolutive conservano nella relazione con l’uomo la preferenza dei lupi per un branco governato da relazioni di dominio e di sottomissione. Sarebbe quindi il principio di stabile gerarchia a plasmare anche l’amore e la fedeltà dei cani verso il padrone. Tutte attitudini da cui i gatti, al contrario, rifuggono. La loro gioia e il loro affetto sono per Gray privi di timore, liberi e mutevoli, e per questo ancora più significativi quando si manifestano.
Insomma, se l’invito è quello di ispirarci al micio Julian e di coltivare una «felina spensieratezza», non è solo Gray a magnificare le doti dei gatti e il loro impatto sul cervello umano. In Gatti leggendari e i loro umani (Corbaccio, 2020), Heike Reinecke e Andreas Schlieper raccolgono, ad esempio, le storie di personalità celebri ispirate proprio dai loro compagni felini. Ernest Hemingway, Haruki Murakami, Andrea Camilleri, Colette. La loro creatività, immaginano gli autori, è fiorita nell’atto di accarezzare il gatto: un gesto, spiegano, che ci aiuta a trovare riparo dalla fretta e dalla pressione del mondo permettendoci di entrare in una dimensione incantata fatta di fusa e miagolii.
Tutte elucubrazioni prive di senso? Secondo la ricerca scientifica no. L’effetto disintossicante dei gatti sarebbe confermato da Lorraine Plourde, docente di Media Studies al Purchase College dell’Università di New York, secondo cui i gatti sono alleati della salute umana, oggetti affettivi capaci di aiutare le persone a guarire da ansie e frustrazioni. Un approccio, spiega la professoressa, emerso dagli studi sulla diffusione in Giappone, soprattutto nel 2009, dei neko café, o cat café, caffetterie dove passare il tempo gustando bevande e cibi in compagnia di comunità di gatti (uno di questi luoghi è al centro del romanzo Il caffè dei gatti della spagnola di Anna Sólyom, tradotto in Italia lo scorso ottobre da Giunti). In questa ottica, i felini non svolgerebbero solo una funzione pacificatrice tra le mura domestiche ma diventerebbero soggetti di relazione con i quali stare bene. Anche solo un pomeriggio. Insomma, i gatti ci aiuterebbero davvero a fare nostro uno degli apprendimenti elencati da Gray: «Dimentica di cercare la felicità e potrai trovarla».
Se le lezioni feline individuate dal filosofo sono per lo più di natura intellettuale, Jamie Shelman – online: The Dancing Cat — elenca cento comportamenti dei gatti che dovremmo adottare per stare meglio. In La vita spiegata dal mio gatto (Il Castoro, 2020), Shelman, attraverso tavole e illustrazioni dedicate a Broosky, il micio del vicino, mostra le più salutari abitudini feline, tra cui prendersi il tempo per riposare, fare stretching, non temere di dimostrare a qualcuno che ci piace. Soprattutto, secondo l’autrice, dovremmo assecondare il gatto quando si stende sulla tastiera del computer: ci sta solo dicendo di smetterla di lavorare troppo – un approccio diverso da quello adottato dai quattro certosini descritti ne I gatti della scrittrice (e/o, 2020) da Muriel Barbery (con le illustrazione di Maria Guitart), scontenti di essere solo compagni di svago e impegnati a diventare consulenti letterari della padrona.
Ma stiamo capendo la natura dei gatti o attribuiamo loro nostre attitudini e abilità? In Filosofia felina, Gray è chiaro: possiamo dire che i gatti non abbiano capacità intellettuali, ma è molto più probabile che a queste non siano interessati. Qualcuno, però, non è d’accordo e ha deciso di interpretare i segnali dei felini per facilitare la comunicazione diretta – forse, intenzionale – con gli uomini. Si tratta del veterinario Yuki Hattori, star in Giappone, dove si è guadagnato il soprannome di Cat Savior, salvatore di gatti. Il suo bestseller dedicato al neko no kimochi, il sentimento gattesco, è stato di recente tradotto in inglese (What Cats Want, «Cosa vogliono i gatti», Bloomsbury Publishing, 2020): attraverso disegni e brevi osservazioni, punta a veicolare il linguaggio felino. Per Hattori un fremito di baffi o un fugace movimento delle orecchie sono segnali telegrafici di un desiderio. Il veterinario individua nove espressioni di muso e dodici posizioni di coda utili a decifrare messaggi distinti. Mai confondere, per esempio, un miagolio lungo, che corrisponde a una richiesta di aiuto, con uno breve, un veloce saluto.
Probabilmente Gray non sarebbe d’accordo con la decriptazione felina. Scrive il filosofo: «Se i gatti potessero comprendere la ricerca umana di significato farebbero le fusa con piacere di fronte alla sua assurdità». O semplicemente le farebbero perché sono nati per farle.