La Lettura, 31 gennaio 2021
Salviamo la democrazia
In tutto il mondo si levano voci preoccupate per l’impatto della pandemia sulle democrazie, le libertà, l’affermazione di principi universali sui diritti dell’uomo. Freedom House, una organizzazione non governativa internazionale fondata da Eleanor Roosevelt nel 1941, con sede a Washington, ha calcolato nell’ottobre scorso che in un quarto dei Paesi del mondo la pandemia ha prodotto abusi di potere e anche violenza, e che in metà degli Stati, a causa della pandemia, sono state introdotte limitazioni alla libertà di manifestazione del pensiero, oppure controlli sull’informazione (Sarah Repucci e Amy Slipowitz, Democracy under Lockdown: the Impact of Covid 19 on the Global Struggle for Freedom). Il timore della diffusione del contagio ha indotto alcuni Stati a rinviare le elezioni. Nel Parlamento europeo si sono udite parole preoccupate sulla possibilità che la Cina sfrutti la pandemia per influenzare il rispetto della rule of law (lo Stato di diritto) in Europa. Il Social Science Research Council, nella serie intitolata Anxieties of Democracy, ospita studi sulla crisi che la pandemia può causare a danno di democrazia e libertà. Democracy in Times of Pandemics. Different Futures Imagined è il titolo di un volume curato per Cambridge University Press da Miguel Pojares Maduro e da Paul W. Kalen. Un titolo analogo (De la Démocratie en Pandémie. Santé, recherche, éducation) ha dato la filosofa francese Barbara Stiegler a un volume che è appena uscito per i tipi di Gallimard a Parigi.
Dall’altra parte, in Italia, secondo il cinquantaquattresimo Rapporto Censis (2020), quasi il 58 per cento dei nostri concittadini è disponibile a rinunciare alla libertà personale in favore della salute collettiva. Dinanzi al diffondersi della pandemia nel mondo occidentale, si sentono sempre più voci ammirate della reazione di un ordinamento non democratico come quello cinese. Anche il presidente francese Emmanuel Macron si è chiesto se non occorra ridurre la democrazia e accettare qualche forma di autoritarismo, per tornare a progredire. Quasi tutti hanno accolto di buon grado i freni posti, in nome della sicurezza, al traffico aereo internazionale.
Siamo quindi disposti a rinunciare alle maggiori conquiste civili degli ultimi tre secoli (libertà, democrazia, abbandono del nazionalismo, riduzione del ruolo dello Stato a favore di principi e regole universali), barattandole contro maggiore sicurezza e salute?
Questa domanda è tanto più importante in quanto la pandemia ha solo accentuato e drammatizzato dilemmi che erano già presenti. Da qualche anno, si erano affermate democrazie autodefinitesi illiberali (Ungheria e Polonia). Da qualche decennio si lamentava una democratic transition failure (la mancata evoluzione di Russia e Cina verso un ordinamento democratico) e una authoritarian resurgence (le tentazioni bonapartiste di Brasile, Cina, India e Stati Uniti). La chiusura delle frontiere e l’abbandono del multilateralismo sono state le risposte americane al malessere prodotto dalla nuova geografia del lavoro. La tentazione di ergere barriere di vario genere per impedire l’immigrazione o per proteggere la produzione nazionale è stata ricorrente anche negli ultimi anni.
Non è la prima volta che i sistemi politici si trovano dinanzi alla necessità di «quadrare il cerchio». John Maynard Keynes, nel 1933, osservava: se il sistema liberale non avrà la capacità di risolvere i problemi della disoccupazione, dell’instabilità valutaria e dell’inflazione, l’attrazione dei sistemi sovietico, fascista e nazista diverrà irresistibile. In una famosa lettera al presidente americano Franklin Delano Roosevelt, l’economista inglese proponeva di evitare l’ortodossia da un lato e la rivoluzione dall’altro, e aprire «una nuova era per l’economia» (questo fu il New Deal rooseveltiano). Nel 1995, il sociologo Ralf Dahrendorf segnalava un altro dilemma, tra restare competitivi in un mercato mondiale, continuando a creare ricchezza, e preservare l’eredità liberale e democratica; e indicava i modi per conciliare le due diverse esigenze.
Nel quarto e nell’ultimo decennio del secolo scorso, i sistemi politici liberali e democratici sono riusciti a coniugare – ma non nello stesso modo nelle diverse parti del mondo, e con vistose eccezioni, come l’Italia fascista e la Germania nazista – crisi economiche e valori liberaldemocratici.
Riusciranno ora a quadrare nuovamente il cerchio, o la pandemia suggerirà di introdurre un freno a libertà, democrazia e riconoscimento di valori universali? La loro attuale crisi è reversibile? O bisogna, invece, rinunciare a un po’ di libertà e di democrazia e accettare un ritorno in auge dello Stato-nazione?
Per rispondere a queste domande, bisogna accertare da dove ha origine la crisi e che cosa viene posto in dubbio. La pandemia ha messo in moto una duplice reazione. Innanzitutto, dichiarazioni dello stato di emergenza, limiti ai diritti e alle libertà (di circolazione, in particolare), chiusura delle frontiere, deroghe alle procedure ordinarie, percorsi di decisione accelerati, lasciati nelle mani dell’esecutivo, con interpretazioni espansive delle leggi. In secondo luogo, interventi di risarcimento (detti ristori), consistenti in erogazione di risorse pubbliche a privati. Con gli interventi del primo tipo sono stati stabiliti rapporti diversi con i cittadini, procedure semplificate previste per le calamità naturali, maggiore discrezionalità dell’esecutivo. Con gli interventi del secondo tipo, lo Stato si è assunta la funzione di assicuratore dei grandi rischi, con gli obblighi conseguenti e il conseguente allargamento della sfera di azione dei poteri pubblici. L’uno e l’altro tipo di intervento hanno eroso la competenza del Parlamento, ampliato i poteri dell’esecutivo, ridotto l’area della legalità, verticalizzato il potere, riportato in primo piano le frontiere nazionali, limitato la globalizzazione, i trasferimenti e il commercio internazionale.
In Italia – limito ora il mio esame al nostro Paese – queste erosioni delle libertà, della democrazia e dei principi universali sono state particolarmente pesanti. Diritti fondamentali come quelli di culto, di istruzione, di iniziativa economica, sono stati compressi, sulla base di incerte ed esigue basi normative (per lo più decreti legge incompleti e accavallati, tanto da dare luogo ai «decreti Minotauro»), con atti amministrativi. Il bicameralismo è divenuto monocameralismo alternato (per una legge una Camera discute e approva e l’altra ratifica, per quella successiva le parti si invertono) e il potere normativo sostanzialmente trasferito ad accordi tra le delegazioni delle forze politiche di governo. Tra Stato e Regioni è stato un alternarsi di accordi, conflitti di competenze, rincorse legislative e amministrative. Infine, nel nome della sicurezza sono stati posti e mantenuti limiti all’immigrazione e al diritto di asilo (così violando sia principi universali, sia principi costituzionali), sono state disposte chiusure dei confini, sono stati sottoposti ad autorizzazione investimenti di imprese straniere in Italia.
Per bilanciare sicurezza e libertà, ed evitare «scelte tragiche» a danno della seconda, basta rispettare la Costituzione. Essa, ad esempio, consente di limitare la circolazione, ma prevede che questo venga disposto con la legge (quindi, dal Parlamento), in termini generali, solo per tutelare la salute. La Corte costituzionale ha aggiunto che questo va fatto per un tempo limitato (la temporaneità degli interventi di emergenza non è stata prevista nell’Ungheria di Viktor Orbán) e rispettando la proporzione tra limitazione e pericolo, cioè non a dismisura. Dunque, c’è modo di far fronte a un nuovo autoritarismo, di evitare una compressione illimitata delle libertà, quando occorre affrontare eventi che minano la sicurezza. La rinuncia alla libertà è prevista, regolata, limitata, bilanciata.
Più complicata si presenta la «scelta tragica» tra sicurezza e democrazia. La pandemia ha accentuato difficoltà con le quali la democrazia si scontra da tempo: debolezza dell’offerta politica, crisi dei partiti (di quelli presenti in Parlamento solo uno conserva la denominazione «partito»), scarsa o nulla democrazia interna dei partiti (al congresso della Lega di fine 2019, svoltosi in tre ore, ha partecipato poco più di un quinto degli aventi diritto), nei quali decide il leader, apatia politica e diminuzione della partecipazione, dibattito ridotto alla contrapposizione di affermazioni, interventi svolti in Parlamento, ma non per il Parlamento, iniziativa legislativa concentrata in un decimo dei parlamentari, mentre un terzo dei parlamentari diserta un terzo delle votazioni. La pandemia ha peggiorato la situazione: ha ridotto il ruolo del Parlamento a organo di ratifica, diminuendo il peso del doppio controllo richiesto dal bicameralismo, concentrando i poteri nei vertici dell’esecutivo (decidono i capi), riducendo lo spazio di discussione.
Anche per bilanciare sicurezza e democrazia, i rimedi sono nella Costituzione. Si può ricorrere ai decreti legge soltanto in casi straordinari, di necessità e di urgenza. L’azione del potere legislativo e quella del potere esecutivo sono sottoposte al vaglio dei giudici (dalla Corte costituzionale ai Tribunali amministrativi regionali).
Infine, come salvaguardare la sicurezza senza ritornare allo statalismo e alla chiusura verso il resto del mondo? La pandemia ha fatto riprendere quota all’État puissance (lo Stato-potere), ha fatto ampliare il suo golden power (il potere di autorizzare gli investimenti stranieri), ha accresciuto il debito pubblico, ha spinto a chiudere le frontiere, ha prodotto una drastica riduzione del traffico internazionale, ha ridotto il commercio internazionale di beni e servizi, ha indotto le imprese a ridurre le global value chain (le catene di valore globale, che consentono di decentrare la produzione nei Paesi dove i costi sono inferiori).
I rimedi per bilanciare globalizzazione e sicurezza sono però inscritti nella «costituzione globale». Se si vuole maggiore sicurezza nei confronti delle pandemie, l’unica soluzione sarà quella di rafforzare l’Organizzazione mondiale della sanità. Se è difficile trasferirsi in altre parti del mondo, sarà necessario ricorrere a un maggiore uso di internet, e quindi regolare globalmente le Big Tech, rafforzando l’Icann (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers, il supremo regolatore di internet e del web). Se lo Stato ha bisogno di maggiori risorse, dovrà rivolgersi all’Unione Europea per ottenerle e l’Unione Europea dovrà raccoglierle sui mercati finanziari, che sono globali.
La conclusione è, dunque, che le regole per fare convivere la sicurezza con la libertà, con la democrazia e con la globalizzazione, ci sono. Le limitazioni di libertà, democrazia e globalizzazione, in nome della sicurezza, sono, a loro volta, sottoposte a limiti.
Mancano, tuttavia, i guardiani di queste regole e di questi limiti. Ovvero mancano quei meccanismi che, mediante il gioco degli incentivi e dei disincentivi, assicurino un automatico rispetto delle regole.
All’interno degli ordini nazionali, il meccanismo di tutela dei diritti, costituito dai giudici, e quello di bilanciamento dei poteri, assicurato dai check and balance (i pesi e contrappesi), non bastano. Sono necessari altri arbitri e altri guardalinee, in grado di agire di propria iniziativa e non solo su domanda di privati.
Nel mondo globale, sono carenti sia i sistemi di tutela dei diritti (se i regimi regolatori globali sono circa duemila, le corti e gli organi quasi giudiziari non superano i quattrocento), sia i meccanismi per assicurare, con uno sguardo dall’alto, il rispetto delle regole del gioco, perché troppe procedure sono rimesse o all’ottemperanza volontaria o a meccanismi di ritorsione ben calibrati, ma non sempre efficaci (come quello delle retaliatory measure, le contromisure dell’Organizzazione mondiale del commercio).
La ricerca di custodi della Costituzione è stato un passaggio caratteristico di tutti i momenti di crisi, a partire dall’Inghilterra dopo Oliver Cromwell e la prima rivoluzione del XVII secolo, fino alla Repubblica di Weimar, per arrivare a ieri. Si apre ora un nuovo capitolo di questa ricerca, perché non bisogna solo assicurare la tutela della salute e, contemporaneamente, il rispetto dei diritti, all’interno degli Stati. Non si tratta solo di garantire il funzionamento delle regole democratiche per assumere decisioni che riguardano la salute pubblica. Bisogna anche salvaguardare l’espansione universale dei diritti dell’uomo nel momento in cui lo Stato riacquista un ruolo dominante.