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 2021  gennaio 30 Sabato calendario

Periscopio

Non era mai stato visto un premier rallegrarsi di smentire le decisioni adottate quando guidava il governo precedente. Carlo Nordio. il Messaggero.
Di quelli che ho conosciuto io, Alberto Cavallari è stato il peggior direttore che il Corriere abbia avuto. Fu un disastro. Un principe dell’incoerenza: un giorno diceva una cosa, il giorno dopo ne faceva un’altra. Luciana Baldrighi, Feltri racconta Feltri. Sperling & Kupfer Editori, 1997.

Oggi tutti in Italia conoscono Bella ciao ma quasi nessuno sa (soprattutto se studente, stando ai testi scolastici e universitari adottati) i nomi del capo politico (Alfredo Pizzoni) e del capo militare (il generale Raffaele Cadorna) della Resistenza. Ugo Finetti. Studi cattolici.

La rivoluzione è un sogno romantico, niente altro. Un mito da coltivare. La politica è ottenere un risultato, fare accordi con chiunque si possa. Fabrizio Rondolino, scrittore autore de Nostro Pci (Susanna Turco). L’Espresso.

Il partito di plastica berlusconiano non suscita passioni, salvo che per il destino dei network editoriali gemellati, e la sola religione che pratica è il bacio dell’anello ai cardinaloni vicini a Comunione e Liberazione e l’appello alla «zia suora». Di buono c’è che questo «liberalismo democratico» (tra due enormi virgolette) almeno non è sovranista, come si dice oggi, né inneggia alle democrazie orgogliosamente illiberali dell’Est europeo. Diego Gabutti. Informazione corretta.

Anche in America hanno appena cacciato il Mostro (e lui, almeno negli ultimi tempi, lo era davvero), ma il giorno dopo il nuovo Presidente aveva già firmato diciassette decreti per rovesciarne le politiche. Da noi, abbattuto un Mostro, non cambia niente. Se ne cerca un altro. Massimo Gramellini. Corsera.

Facendo leva sui sondaggi favorevoli che il suo «Roccobello» gli fa preparare, il premier Conte pare stia minacciando la nascita del suo partito, le cui liste elettorali sarebbero state affidate nelle mani di Renata Polverini, che di pasticci in materia ha già dato ampia prova. Ed è proprio questa macchina di consensi che ha creato una vera e propria dipendenza emotiva tra il premier ed il suo «grande fratello», a cui consente praticamente tutto. Appeso a questa macchina di sondaggi, con i canali Rai, Lilli Gruber e Marco Travaglio in prima linea, Conte ha perso il contatto con la realtà, sostituendola con un egocentrismo esasperato. Luigi Bisignani. il Tempo.

In questi giorni succedono cose straordinarie, accompagnate da un altrettanto straordinario far finta di niente. Sono uscite, per esempio, le motivazioni della sentenza del Borsellino quater (già il nome Borsellino quater dovrebbe indurre a non far finta di niente). Ebbene, secondo i giudici d’appello la strage di via D’Amelio non ebbe nulla che vedere con la trattativa Stato-mafia, teoria secondo la quale Paolo Borsellino venne fatto fuori dalla mafia, con qualche complicità dello Stato, poiché lo Stato e la mafia avevano raggiunto un’intesa: lo Stato avrebbe mollato la presa, e la mafia l’avrebbe piantata con le bombe. E Borsellino non era d’accordo. Fantasie, si legge nella sentenza. Borsellino doveva morire in vendetta per il maxiprocesso istruito con Giovanni Falcone, e per «cautela preventiva», poiché stava lavorando a un’inchiesta su mafia e appalti (e gli appalti riguardavano anche il palazzo di giustizia di Palermo). Mattia Feltri. Huffingon Post.

Considerava Togliatti molto intelligente e molto colto: entrambi leggevano il latino e il greco, e adoravano Dante. Papà sapeva che Togliatti pativa lo stalinismo. Apprezzava l’equilibrio necessario per fare il capo dei comunisti in un Paese legato agli americani. Certo, quando erano al governo insieme, mio padre si seccava nel vedere le cose decise insieme in Consiglio dei ministri contraddette il giorno dopo sull’Unità… Ma la rottura fu la campagna del 1948. Maria Romana De Gasperi (Aldo Cazzullo). Corsera.

Io, a 15 anni, con quattro-cinque amici, nessuno dei quali è più in vita, formavamo un gruppetto che detestava i fascisti perché erano brutti, aspri, vestiti di nero. Era un antifascismo estetico, il nostro, che aveva per idolo Benedetto Croce. Pareva incredibile che, in un’epoca di soffocante conformismo, esistesse a Napoli un tizio non iscritto al partito, senza camicia nera, che scriveva di cose che non erano la solita retorica sugli immancabili destini della Patria. Finita la guerra, quegli amici divennero chi comunista, chi socialista, chi socialdemocratico. Si ideologizzarono. Io no. Mi sono sempre considerato liberale, ma esserlo significava per me non avere un’ideologia. Pensavo le cose, di volta in volta, con la mia testa. Mauro Mellini avvocato (Gian Carlo Perna). Libero.

Andammo insieme allo Smithsonian di Washington dove una mostra di pittura aveva scatenato l’entusiasmo dei giornali: si chiamava «La pittura americana del West, dal Settecento al Novecento». Passando attraverso quelle sale sentivamo il bisbiglio ammirato del pubblico. C’era anche un registro per i giudizi, con pagine piene zeppe di very very very beautiful, astonishing, extraordinary, gorgeus. Tu scrivesti in inglese: «C’è il West ma non la pittura» e per la prima volta firmammo tutti e due. Guglielmo e Vittorio Zucconi, La scommessa. Rizzoli, 1993.

Mio padre Giuseppe era figlio di un manovale che a Verona si spaccava la schiena per 80 centesimi al giorno. Nel 1904 mio nonno decise di emigrare per fame in Germania, nel Baden-Württemberg. Trovò lavoro come muratore, a 23 marchi la settimana, cinque volte quello che guadagnava in Italia. La nonna s’ingegnava facendo da mangiare agli italiani. I tedeschi li chiamavano bonariamente itaka. Alla vigilia della Prima guerra mondiale quel nomignolo divenne un’offesa, così il nonno rientrò a Verona. Mio padre trovò lavoro prima da Molinari e poi da Tommasi, due delle migliori pasticcerie. Montava a mano le uova dalla mattina alla sera, per 3 lire a settimana. Fu arruolato e mandato al fronte ma ebbe fortuna: il 4 novembre 1918, mentre si trovava ad Ala, il conflitto finì. Quel giorno compiva 18 anni. Tornò a casa, si comprò un frac e divenne cameriere nei migliori alberghi: Gatto Nero, Torcolo, Gabbia d’oro. Arrigo Cipriani (Stefano Lorenzetto). l’Arena.

Qui a San Pietroburgo mi viene di pensare che cosa straordinaria è stata la civiltà italiana, essa e tutti i suoi stravaganti operosi. Senza di noi l’Europa non ci sarebbe. E tirarcene fuori sarebbe come toglierle i polmoni. La sera trascorsa tutta a leggere Dumas. Geminello Alvi, Ai padri perdòno. Mondadori, 2014.

Con me la morte non perderà tempo. Mi arrenderò subito. Roberto Gervaso.