Tuttolibri, 30 gennaio 2021
La storia di Cassa Deposito e Prestiti
«Capisco che il tempo dei mercati sia quello del momento, dell’istante fugace o dell’attesa immediata. Ma al di là del loro breve orizzonte, c’è la vita degli uomini, delle istituzioni, la lunga durata di ciò che stiamo costruendo. Quindi, accanto a loro, devono esserci attori che non perdano di vista questa nozione di tempo. In un certo senso, questa è l’economia mista». Così si esprimeva François Mitterrand nel 1991, in occasione del settantacinquesimo anniversario della Caisse des dépôts et consignations, nata nel 1816 grazie a un ministro delle finanze nato a Genova, Luigi Corvetto.Le parole di Mitterand non ebbero eco in Italia, perché in quel momento della nostra storia la «cugina» dell’istituzione francese, la Cassa Depositi e Prestiti, era poco nota. Eppure, la sua storia precede di qualche anno l’unità nazionale. Inizia nel 1850. È ora Paolo Bricco a raccontarne la vicenda, grazie alla sua tripla identità di giornalista, economista e storico.Cassa Depositi e Prestiti prende vita dalla mente di Cavour e, nel racconto di Bricco, accompagna l’Italia e le sue trasformazioni, attraverso l’utilizzo del risparmio postale, soprattutto per prestiti verso lo Stato e le amministrazioni locali. Qui sta l’aspetto più importante del libro di Bricco: grazie a un accurato lavoro d’archivio, mostra come il capitale «dinamico e paziente» della Cassa sia stato utilizzato per un Paese in cui essere «costruttori» era un’esigenza esistenziale e letterale. Quella di costruire scuole, treni, ospedali, acquedotti, cimiteri. E di ricostruire dopo le calamità naturali e dopo la guerra.In questo percorso, Cassa Depositi e Prestiti incrocia il più giovane (classe 1933) Istituto per la Ricostruzione Industriale, al quale è sopravvissuta. Senza liberarsene del tutto, perché nel discorso pubblico è spesso presente l’impropria evocazione della Cassa come «nuovo Iri». Il libro di Bricco aiuta a comprendere le differenze: quando le due istituzioni si incrociano, la Cassa fornisce denaro e tecnicalità finanziarie, mentre l’Iri è il centro di management costruito dai migliori civil servant italiani, ma geloso delle proprie prerogative. Prima della crisi degli anni ’70 e degli eccessi di funzioni e di politicizzazione.La Cassa vive nella storia politica dell’Italia. Bricco ricorda le osservazioni del ministro Giuseppe Medici, il quale invitava la Cassa a non accentrare tutto nelle grandi città, per mostrare anche nei piccoli centri la presenza dello Stato, attraverso l’edilizia popolare come fattore di coesione territoriale. Un tema problematico nel lungo periodo è il finanziamento dei progetti al Sud. Oggi ancora più importante, per i divari di cittadinanza sofferti dalla stessa popolazione meridionale che fornisce una parte molto elevata del risparmio postale della Cassa.Dal 2003, la Cassa inizia una nuova storia, con la trasformazione in società per azioni che, sulla base delle regole Eurostat, è una «market unit» al di fuori del perimetro pubblico. Nell’azionariato, lo Stato convive con un pezzo della società, le fondazioni di origine bancaria. Le testimonianze dei due protagonisti della trasformazione, Giulio Tremonti e Giuseppe Guzzetti, sono tra le parti più interessanti del testo. Decisivo, nella nuova natura, è il passaggio della crisi del 2008. Per la crescita nel portafoglio dei titoli pubblici italiani, che salgono dal mezzo miliardo di euro del 2008 ai 48 miliardi del 2016, fino ai 70 miliardi del 2019. Per la risposta europea, che arriva con grave ritardo ma fa emergere il ruolo degli istituti nazionali di promozione.La crisi attuale è uno spartiacque ancora da decifrare. Di certo aggiorna il dibattito su Stato e mercato. E rende ancora più importante il confronto con le istituzioni della Francia e della Germania, che il libro di Bricco accenna ma andrebbe approfondito.Il ruolo della Cassa oggi richiama una domanda più ampia sulla nuova «economia mista». Le sue funzioni sono state allargate dal legislatore, con un mandato largo sulle partecipazioni. Alcuni veicoli, che esistono da dieci anni, meritano di essere analizzati e valutati, per vedere cosa ha funzionato e cosa no. Per capire come mai il coinvolgimento nella difesa e nelle biotecnologie sia stato esiguo. Per discutere se sia appropriato o no investire in alberghi, beni culturali, agroalimentare. Occorre poi ricordare, con realismo, che le grandi aziende quotate a partecipazione pubblica non si faranno mai «coordinare» dalla Cassa, per ragioni di storia industriale. L’aspetto delle partecipazioni non va quindi sopravvalutato, mentre il Tesoro, per fare ordine, potrebbe seguire il modello francese sulla missione dello Stato azionista. Il vero filo rosso della lunga storia della Cassa è il sostegno alle infrastrutture e alle reti, un punto cruciale già per l’Italia immaginata da Cavour. Questa rimane la questione decisiva per la Cassa, che non va appesantita con troppe funzioni, per servire gli italiani secondo la «prova di Mitterand».