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 2021  gennaio 30 Sabato calendario

Quelli che essere fascista è un vanto


«Gli ebrei ricordano con enfasi quello che a loro è successo. Bene. Ma un popolo che ha subito questo dovrebbe più di altri, ricordarsi ed intervenire su quello che succedeva, specialmente decenni fa e ancora adesso ai popoli africani, uccisi, massacrati, tenuti alla fame della cui fame (sic) specialmente i più piccoli morivano. Nulla di questo. Se ne sono sempre fregati. È per questo che sin dal 1967 a chi mi parlava di cosa avevano fatto ai poveri ebrei, rispondevo che non meritavano la mia attenzione». Così, su Facebook, l’omaggio di Franco Mino, consigliere comunale leghista a Biella, al Giorno della Memoria, e non si sa se sia peggio il delirio o l’italiano (questi difensori della Patria, chissà perché, trattano sempre malissimo la sua lingua). Seguirono le immancabili polemiche, lo sventurato rispose senza ritrattare, finché il sindaco leghista della città, Claudio Corradino, e il segretario locale del partito, Michele Mosca, ne chiesero e ottennero le dimissioni. La sintassi ringrazia.
Però il copione si sta ripetendo un po’ troppo. Capita di continuo che baldi leghisti di provincia svelino le loro simpatie fasciste, senza pudori né timori. L’episodio di Biella arriva subito dopo quello di Cogoleto, 9 mila abitanti nel Ponente ligure. Si stava appunto ricordando la Shoah quando tre consiglieri comunali di centodestra si sono esibiti in quello che ai colleghi di centrosinistra (e anche dalle foto, per la verità) è sembrato un saluto romano. Uno, Francesco Biamonti, è leghista. Anche qui, solita storia: polemiche violentissime, la Digos che denuncia i tre, Biamonti il sindaco («La caccia alle streghe è ricominciata, falsa la sua ricostruzione») e il proconsole salviniano in Liguria Edoardo Rixi che sospende Biamonti, poi si vedrà. In Liguria, evidentemente, spira fra i leghisti una brezza nera: all’ottavo municipio di Genova il consigliere Igor D’Onofrio definì con piglio littorio il fascismo «la più audace, la più originale e la più mediterranea delle idee!», mentre gli antifascisti sono «gli infami nipoti dei banditi». Risultato: uscita dalla Lega prima di esserne sbattuto fuori, «per non mettere in ulteriore imbarazzo il nostro movimento», come scrisse il commissario cittadino del partito.
Intanto il sindaco leghista di Adro, provincia di Brescia, la settimana scorsa ha negato la cittadinanza onoraria a Liliana Segre, che «non ha nessun legame con la nostra storia e il nostro Comune». Esattamente, ha fatto notare l’Anpi locale, come Gianfranco Miglio, l’ideologo della Lega presalviniana, cui fu intitolata una scuola ricoperta di Soli delle Alpi. Anche a Sud non si scherza. Durante la campagna per le regionali in Basilicata, comiziando a Melfi (Potenza) la candidata leghista Gerarda Russo proclamò papale papale: «Io sono fascista». Poi, di fronte alle proteste, precisò che la frase era stata estrapolata. Vero. In effetti, come da video, aveva strillato: «Se fascista vuol dire essere a favore del popolo, allora io sono fascista!», ognuno valuti la differenza (ottima però la battuta che circolò allora: «Finalmente in Italia qualcuno vuole fare una politica di Potenza»).
In effetti fra Lega e ultradestra c’è qualche relazione pericolosa di troppo. Il boom elettorale ha obbligato a improvvisare in fretta una classe dirigente, pescando a destra e strizzando l’occhio anche a Casa Pound e dintorni. Lo stesso Salvini qualche passo falso l’ha fatto, come quando si fece fotografare con l’ultras bresciano Massimiliano «Chicco» Baldassari, uno che porta una mascherina con il ritratto del Duce e la scritta: «Torna presto, Zio». I leghisti ribattono che quella di fascismo e antifascismo è una storia finita con il Novecento. Come Susanna Ceccardi, pupilla di Salvini e candidata sconfitta alle ultime regionali in Toscana. «Non sono né fascista né antifascista, è una questione che aveva senso nel 1944. Io sono anti-ideologica», disse in un’intervista.
La questione è delicata e ha a che vedere con l’identità stessa della Lega. Da un lato, c’è chi la pensa come un partito di destra «dura», sovranista e populista, antiglobalista e identitaria, insomma il Front national di qua dalle Alpi. Dall’altro, chi la vede come una specie di Cdu italiana, certo conservatrice ma moderata, dentro quello che una volta si sarebbe chiamato «l’arco costituzionale». Per esempio, Luca Zaia, che martedì ha spiegato che «un centrodestra moderno non può avere dubbi sulla Shoah» e che dire che il fascismo ha fatto anche cose buone «è inaccettabile». Sembrerebbe lapalissiano ma non lo è, specie dopo che una sua assessora, Elena Donazzan (meloniana, però) si è esibita in radio cantando «Faccetta nera». Puntini sulle «i» forse indispensabili in un partito in cerca di identità, minacciato da destra dal montare di FdI e guidato da un leader davvero, lui sì, a-ideologico come Salvini, che debuttò come «comunista padano» e va dove lo portano i sondaggi. E dire che il vecchio Bossi nel ’94 strillava: «La Lega è la continuazione della lotta di Liberazione fatta dai partigiani. Mai coi fascisti! Mai! Mai!». Mai dire mai.