Robinson, 30 gennaio 2021
Intervista a Filippo Scozzari
Filippo Scòzzari è cattivo. O almeno così vorrebbe apparire: re assoluto di tutto ciò che oggi viene definito a torto o ragione “politicamente scorretto”, fa parte di un gruppo di geni assai “irregolari” che trovarono un’incredibile alchimia in giornali che ancora oggi sono l’ispirazione di decine di giovani autori come il Male, che rimane un riferimento inevitabile per chi fa satira. Filippo Scòzzari, pur avendo partecipato a quell’esperienza con varie vignette e alcune copertine, fu però piuttosto il motore centrale di riviste come Cannibale, come ricorda Vincino nel suo Il Male. 1978-1982. I cinque anni che cambiarono la satira: «Quelli di Cannibale avevano una stanza dove facevano la loro rivista e noi la mandavamo in edicola». Ma fu soprattutto con Frigidaire che Scòzzari assunse un ruolo centrale, all’inizio in una sorta di competizione creativa con Stefano Tamburini e poi, venuto a mancare quest’ultimo, di fatto facendo il coordinamento redazionale della rivista diretta da Vincenzo Sparagna e contribuendo non poco a modellarne l’immaginario anche dal punto di vista linguistico. Un elemento questo, mai messo sufficientemente in risalto ma che appare evidente se si leggono le opere letterarie di Scòzzari da Prima pagare, poi ricordare, il libro essenziale per chi volesse approfondire la storia di quei giorni, ovviamente vista dal suo personalissimo, feroce punto di vista, fino a lavori come L’isterico a metano o Memorie dell’arte bimba. Leggendo questi libri ci si rende conto del talento narrativo di Scòzzari ricercato, elegante e scurrile ma mai pomposo, bizzarro di un’originalità naturale e non cercata, ferocissimo contro tutto e tutti ma in primis con se stesso. Fare questa premessa è fondamentale per capire a chi ci si trova davanti, anche per non restarne offesi, dal momento che non c’è niente e nessuno che si salva dal suo gioco al massacro. Scòzzari è –forse l’ultimo?– erede dello spirito iconoclasta del punk, è come lo scorpione della favola che non rinuncia a pungere la rana anche se sa che lui stesso morirà «perché è nella mia natura».
Come va con il virus?
«Quello che mi ha salvato è che io sto a casa praticamente da quando son nato e quindi risulto inattacabile all’origine. Però non mi entra in testa che quando esco sono sotto schiafffo comunque, per cui continuo a entrare nei negozi per poi subito ritornare di corsa in macchina a recuperare la mascherina. Questa normalità anormale non mi entra in testa. E poi so già che appena allenteranno le misure sarà tutta una ricerca a “gabbare lo santo”: io ho una grande sfiducia negli italiani!».
In questotempo in cui stai chiuso in casa cosa fai, disegni?
«No, ho ripigliato le matite, in realtà elettroniche, solo per rifare la buccia al Mar delle blatte : è stata un’avventura abbastanza divertente che mi ha portato a rendermi conto quanto fossi brocco all’epoca, anche se andavo in giro a fare il fenomeno.
Ratigher, il mio editore e amico, mi ha scongiurato di non mettere le mani sui disegni ma io invece l’ho fatto perché certe “broccate” a distanza di trent’anni erano davvero indigeribili e quindi il mio giudice interiore mi ha costretto a riprendere la matita elettronica e correggere i colori, le posture, l’italiano: non ti dico quante volte avevo scritto “qual è” con l’apostrofo! Ho eliminato tutti i refusi. La copertina e gli interni sono tutti disegni nuovi che mi sono serviti per riprendere confidenza con la matita facendomi capire quanto sarebbe stato conveniente per me chiudere la bocca, rasentare i muri e smettere di bacchettare gli altri».
Non ti ha invogliato a fare invece cose nuove?
«Ci metti trent’anni per mettere insieme una sorta di bibliotechina interiore e tre minuti a dimenticarla.
Questo vale sia per il disegno che per la scrittura. È una tragedia essere fannulloni e pigri, ti si ritorce contro: bisogna continuare a giocare a tennis tutti i giorni altrimenti, quando la riprendi, trovi la racchetta bucata!».
Forse solo Pazienza non ne avrebbe avuto bisogno...
«Lui disegnava sempre ma se si fosse fermato, sarebbe successo anche a lui, così come è accaduto a Tanino Liberatore che pagò duramente una vacanza durata un paio d’anni dalla matita: devi reinventarti tutto daccapo ed è davvero doloroso».
C’è una lunga storia che riguarda “Il mar delle blatte”...
«Io mi feci un dovere di perdere gli originali dimenticandoli sul tetto della mia macchina dove li avevo appoggiati per portarli a una mostra che naturalmente non si fece mai anche per questo motivo, così abbiamo dovuto fare una serie di scansioni da diverse edizioni. Il mio consiglio ai giovani è: non perdete mai gli originali! Io non ho mai dato importanza agli originali perché ero follemente convinto che li avrei potuto riprodurre in qualsiasi momento avessi voluto. Pura follia».
Tra gli autori di “Frigidaire” con chi andavi più d’accordo?
«Quando andavo a Roma dove c’era la redazione ero ospite fisso a casa di Mattioli tranne quando non mi sopportava più e mi buttava fuori, di solito perché aveva da fare e con me non riusciva a concentrarsi. Mettici dodici chili di virgolette, ma credo che tra “i sei” di Frigidaire lui fosse quello più simile a me per l’odio che nutriva per il genere umano (ride).
Non ne abbiamo mai parlato ma il suo essere orso, la sua facilità a mandarti a quel paese mi erano molto vicine: lui e Liberatore sono gli unici con cui non ho mai litigato. Con tutti gli altri, coltellate!».
Come mai hai scelto di disegnare questo racconto di Landolfi?
«Un amico mi diede un suo libro e, ammaliato dal titolo, iniziai a leggere
Il mar delle blatte. In quel periodo ero reduce da un innamoramento per
Eraserhead (il primo lungometraggio di David Lynch, ndr), di cui qualche profuminoqui spunta: tu lettore, o lo capisci o peggio per te! Son cose mie.
Volevo modernizzare –senza però violentare– una cosa non destinata alla matita. Fu una sfida che ho vinto perché era una follia talmente desueta che rischiava di esser sfanculata ma di cui volevo assolutamente preservare la magia.
Al tempo stesso sentivo che era mia: non “Scòzzari interpreta Landolfi” ma Scòzzari e Landolfi sullo stesso piano. Io non sono un illustratore».
Di recente sei stato attaccato per il tuo essere “scorretto”...
«Mio padre un giorno mi disse: “Filippo tu sei come me, dobbiamo stare attenti a come apriamo la bocca”. Io devo stare attento a chi parlo: se abbiamo le stesse armi, lo stesso spirito, mi posso scatenare.
Altrimenti è meglio che stia zitto: spiegare non serve».