Robinson, 30 gennaio 2021
Se Vienna dice addio al Walzer
Ogni crisi storica è un destino che si compie. Non è forse un caso, allora, se qui a Vienna l’apocalisse del Covid arriva proprio nell’anno di Dante Alighieri, il poeta del contrappasso e della resa dei conti tra Bene e Male. Nel 2021, a sette secoli esatti dalla morte di Dante – sette, come i peccati capitali – nella capitale asburgica scompare un pezzo del nostro passato: muore il Walzer, muoiono i grandi balli, caffè, concerti, teatri e architetture scintillanti, muore la raffinata gioia di vivere mitteleuropea, aristocratica ma ben radicata anche tra i comuni mortali.
Il senso di un mondo che scompare si è sempre respirato profondamente nella patria di Johann Strauss: il senso della finis Austriae postbellica, e della fine della supremazia europea. Ma in questi giorni aleggia intensamente anche lo spettro del contrappasso, la legge dantesca del taglione che si realizza nella Storia. Il primo rintocco funebre è arrivato dal Neujahrskonzert, il leggendario concerto di Capodanno che sotto la direzione di Riccardo Muti quest’anno si è tristemente consumato, per le norme anti Covid volute dal governo Kurz, senza pubblico e applausi, in un’asettica diretta Tv dall’enorme sala deserta del Musikverein. E a ruota, per la prima volta dopo oltre due secoli, è stata azzerata la Ballsaison, la stagione delle serate danzanti che avrebbe avuto il suo culmine proprio ora, in prossimità del Carnevale. Era in queste settimane che correvano i soldi: centinaia di milioni di euro per biglietti d’ingresso, noleggio smoking e abiti grande soirée, affitto sale, ingaggio musicisti (nei grandi balli anche tre o quattro orchestre in contemporanea), ristorazione e infine fiumi di Sekt, il misurato ma delizioso prosecco austriaco. Il tutto in un Paese dove il ballo è un’autentica mania, spopola nei programmi Tv, e una famiglia media era disposta a spendere 400 euro per un tavolo vicino all’orchestra.
Il calendario della Ballsaison sembrava uscito da qualche filmetto sentimentale con Clark Gable: il ballo dei Panettieri, quello della Polizia, dei Caffettieri (carissimo), dei Medici, dei Cacciatori, degli Ufficiali, degli Accademici ( il più destrorso, ha spinto l’Unesco a cancellare i balli tradizionali viennesi dalla sua lista “protetta”), il ballo dell’ambasciata russa, quello dei fiori ( organizzato dall’Assessorato ai giardini) e tanti altri fino al leggendario maxi- business dell’Opernball, il ballo delle Debuttanti all’Opera di Stato dove un posto in piedi nella calca costava 230 euro, una bottiglia di vinello 100 euro, dove ricche dinastie industriali per pavoneggiarsi in un palchetto esclusivo pagavano fino a 30 mila euro, e il palazzinaro-presenzialista Richard Lugner ogni anno ne spendeva almeno 50 mila, benché ottantenne, per farsi fotografare sulla pista con qualche star di Hollywood ( Melanie Griffith, Kim Kardashian, etc.) “affittata” allo scopo per un paio d’ore. Ma adesso la musica è finita, come amano dire i viennesi in italiano. Nella Hofburg (reggia imperia-le), oggi residenza del presidente della Repubblica come il nostro Quirinale, e tradizionalmente affittata a caro prezzo come una qualsiasi location (ve lo immaginate Sergio Mattarella ospitare quel chiasso fino all’alba?), non risuonano più le grida della tradizionale quadriglia di mezzanotte.
Oltre che musica fino alle 4 del mattino, servizi fotografici e giochi a premi, ogni serata danzante di categoria superiore forniva gratis anche i Taxi- Tänzer, giovani ballerini free lance che le dame senza cavaliere (le donne ballano più degli uomini) “usavano” per fare quattro salti ogni tanto, in attesa del principe azzurro. Sì, perché ai balli della buona borghesia viennese si trovava marito, come nelle fiabe: se il biglietto costava caro, e l’ambiente era di razza (medici, avvocati, imprenditori, professori universitari) il candidato sposo era socialmente adeguato. Finito anche tutto questo: conoscersi è diventato difficilissimo, causa rischio Covid.
Ora che smoking e scarpe da ballo sono nella polvere, i professionisti – muniti di Konzession governativa – se la vedono brutta: dozzine di scuole di ballo hanno chiuso i battenti, forse per sempre. Ha chiuso anche lo straordinario salone Rotschild, con la sua distesa di meravigliosi stucchi e boiserie neobarocca, salvati da una residenza dei banchieri abbattuta negli anni Cinquanta, e riposizionati nella scuola di ballo Strobl. Addio quindi, febbrile coda notturna dei taxi davanti al Palais Ferstel o al Palais Auersperg. Addio, cronache dei balli nelle ipertrofiche pagine rosa dei quotidiani. Addio, inserzioni online di frac usati con cravattino e fascia di raso, addio fremiti delle diciottenni, che investivano tempo e denaro per entrare nell’Eröffnungskomitee, la squadra scelta che inaugurava il ballo della Filarmonica o dei Farmacisti. Frivolo, sfavillante, vano, seducente: ora tutto un mondo scompare. C’era un peccato originale da scontare, o un tradimento da punire? Il Sommo Poeta, nel destino di questa spossata Osterlicchi ( così chiama l’Austria nell’Inferno, canto XXXII) di contrappassi ne vedrebbe parecchi. E guarda un po’, l’Alighieri evoca proprio il ghiaccio del Danubio, la Danoia, per descrivere il gelido lago infernale di Cocito in cui sono puniti i traditori. Ecco, forse la chiave è il tradimento: Johann Strauss, profeta del Walzer, battezzò il suo classico Wiener Blut (“Sangue viennese”) nel 1873, l’anno del Venerdì nero, quando l’avidità di pochi famelici speculatori fece crollare a tradimento la borsa, scatenando migliaia di suicidi e seminando miseria. Fu la fine dell’Austria sonnolenta e rurale e la nascita della borghesia industriale che tra un ballo e l’altro sfruttava gli operai nelle fonderie di cannoni, e portò l’Impero nella Grande Guerra, ancora una volta, a tradimento ( fu con una menzogna che il ministro degli Esteri Berchtold convinse il Kaiser Francesco Giuseppe ad aggredire la Serbia). In quello stesso 1873 venne costruito l’Hotel Métropole, il mitico albergo belle époque dove durante la guerra si stabilirà il quartier generale della Gestapo: dopo aver riso, stappato bottiglie e ballato, nelle sale del Métropole si cominciò a torchiare, torturare e ammazzare, come rievoca da par suo Stefan Zweig nella Novella degli scacchi.
Ancora contrappassi: i Wiener Philarmoniker (una macchina da soldi: la sera cambiano casacca e diventano l’orchestra dell’Opera) tennero il primo Neujahrskozert il 31 dicembre 1939, tutto su musiche di Strauss, ad Anschluß appena consumato e Hitler che sbranava la Polonia; l’incasso venne versato a scopo “benefico” nelle casse del Nsdap hitleriano. Nell’Austria delle osterie campestri e dei balli in maschera si mobiliterà poi – non lo dimentichiamo – una percentuale straordinariamente alta del personale nei campi di sterminio nazisti. Sulle dolci colline del XIV distretto di Vienna, nell’ospedale ( in realtà centro di sterminio) di Spiegelgrund almeno 800 bambini malati o disabili, tolti a tradimento alle famiglie, verranno orribilmente torturati, squartati e uccisi, i loro resti conservati sottovetro per fini “scientifici” e usati fino al 1978 (tra cui 400 teste di bimbi, scoperte nei sotterranei solo nel 1997). I colpevoli, ben noti, hanno facilmente schivato la giustizia. Il Sekt, dorato come la famosa statua di Strauss tra le aiuole dello Stadtpark e denso come il “sangue viennese”, nasconde i riflessi neri degli stivali della Gestapo nel suo charmant hotel Métropole. Nella città che per due secoli ha salutato l’anno nuovo con invariabile costanza al ritmo ternario del Bel Danubio blu, si cela forse una connaturata doppiezza. Il Walzer viennese si balla con la coscia incollata alla zona pelvica del partner, ma petti e teste sono ben distanti e guardano in direzioni opposte, come nulla fosse. «Lui va a sinistra, lei a destra», recita ironica un’aria del Graf von Luxemburg, l’operetta di Franz Lehár che fotografa meravigliosamente l’elastica moralità asburgica e le sue “coppie scoppiate”. Die Fledermaus (“Il pipistrello”), la più celebre ed esilarante operetta di Strauss, in calendario all’Opera di Vienna ogni 31 dicembre con le coreografie originali ( nell’anno del Covid cantata in diretta dalla Staatsoper, a teatro vuoto, davanti alle telecamere della televisione), è la storia – ambientata proprio durante un ballo – di una coppia- tipo della vecchia borghesia viennese: Gabriel Eisenstein e consorte si cornificano senza ritegno e dopo la resa dei conti tornano insieme, ma solo per quieto vivere: «Felice chi dimentica ciò che non si può cambiare», insegna Die Fledermaus.
C’è infine un tocco di contrappasso dantesco anche per il cancelliere Sebastian Kurz. A marzo dell’anno scorso, mentre da noi si faceva la conta dei morti, Kurz teneva un discorso al 120° ballo in maschera della Rudolfina Redoute, tranquillo e sereno nonostante l’enorme assembramento ( 3500 invitati): «Spero che questo ballo resti un appuntamento fisso della stagione per altri 120 anni e oltre». Poco dopo arrivava anche in Austria la tempesta Covid e strappava a tutti, Kurz compreso, le mascherine di Carnevale per sostituirle con quelle sanitarie.
La gloriosa legge della Divina Commedia, il contrappasso, serpeggia sul parquet di antica quercia dei saloni viennesi. Il Sommo Poeta forse gode sottilmente: la città dei Kaiser – al contrario delle altre grandi metropoli, da Parigi a New York a Tel Aviv – non gli ha neppure dedicato una strada o un parco; a Petrarca invece sì.