la Repubblica, 30 gennaio 2021
Carla Fracci è tornata alla Scala
Alla Scala l’ha richiamata Manuel Legris, il nuovo e già amatissimo direttore del Corpo di Ballo. E Carla Fracci è tornata carica di emozione, «perché – racconta – mi è sembrato naturale, come non ci fosse stato il tempo di mezzo». Arrivata a 84 anni, la “Duse della danza”, come l’ha definita il New York Times, ha tenuto due masterclass con i Primi ballerini di questa bella Giselle che il Corpo di Ballo della Scala riporta in scena nella storica coreografia di Coralli- Perrot, ripresa da Yvette Chauviré, con Martina Arduino – Claudio Coviello, e Nicoletta Manni-Timofej Andrijashenko che si avvicenderanno da un atto all’altro nei ruoli protagonisti. Il dramma fantastico sull’amore si vedrà in streaming su raiplay.it, raicultura.it e teatroallascala. org oggi alle 20 (e sul sito del Covent Garden che l’ha voluto): nell’intervallo tra i due atti, è previsto un dialogo tra Legris e Fracci.
Etoile indimenticata in tutto il mondo – «dal balletto romantico alla tragedienne… facciamo prima a dire quello che non ho ballato» scherza – Fracci è stata Giselle innumerevoli volte, e alla Scala dal ’58 al ’90 (leggendaria quella del ’69 con Bruhn). Oltre alla masterclass («Ai ballerini ho spiegato quanto il gesto debba essere preciso, chiaro per capire la storia e i sentimenti») Fracci ha seguito le prove e dal palco centrale la si è vista di tanto in tanto fare gesti con le braccia, come fosse in scena. «Si prova, ma in palcoscenico capita che ci sia qualcosa di impreciso e mi viene di correggerlo. La tecnica è tutto. Poi tocca alla tua sensibilità darle vita».
Con signorile silenzio, Fracci ha messo da parte le antiche ruggini verso la Scala, l’essersi sentita messa da parte quando c’era da decidere un maître. «Negli altri teatri una étoile diventa una insegnante, qui dall’alto sono arrivate scelte diverse. E ora è passato troppo tempo. Mi auguro ci sarà qualche altra masterclass. Perché la Scala è nel mio cuore. Sono entrata nel ’46 alla scuola che potei frequentare perché era gratuita. Mio padre, tramviere, era tornato dalla Russia, soldi non ne avevamo. E ero ancora a scuola quando, nel ’53, Balanchine mi affidò un ruolo in Ballet Imperial... Non ero neanche prima ballerina e John Cranko mi scelse per Giulietta. Poi nel 1955 sostituii Violette Verdy in Cenerentola e cominciò tutto». Della sua lunga carriera non ha conservato nemmeno un tutù («ho dato i miei costumi alla sartoria Brancato») e tra le scarpette «ho tenuto quelle dei balletti con i grandi partner, Nureyev, Baryshnikov, Stefanescu, Iancu». E di sogni ne ha conservati? «Vorrei che i Corpi di Ballo non venissero smantellati dai teatri. Quanto a me, ho fatto tutto. Dicono che sono una icona, ma sono una di campagna, so che bisogna rimboccarsi le maniche. E così ho fatto, senza tirarmi indietro davanti a niente. Mi ricordo che quando ci fu in Scala la ripresa di Schiaccianoci, nel ’70, Nureyev era arrivato solo cinque giorni prima. Mi insegnò il balletto in due giorni e fu un enorme successo. Alla fine Rudi mi disse: “Vedi? Ecco cosa puoi fare col tuo coraggio"».