Corriere della Sera, 30 gennaio 2021
L’altro squartatore
La docu-serie Netflix «Lo squartatore» riapre un caso che ha scosso l’Inghilterra nei tardi anni Settanta: un killer seriale (morto in carcere qualche anno fa mentre stava scontando diversi ergastoli) ha ucciso tredici donne nello Yorkshire, assaltandone numerose altre che sono fortunosamente riuscite a scampare.
Il titolo della serie in quattro puntate non può non riecheggiare la vicenda di Jack lo Squartatore, diventata una specie di archetipo narrativo classico. In questo caso però, le sfumature letterarie sono ben poche, da un lato per la maggior vicinanza nel tempo delle vicende raccontate, che le colloca in un ancor doloroso passato prossimo, e dall’altro perché la serie sceglie di inquadrarle con una prospettiva sociologica. I delitti infatti sono maturati in un preciso contesto storico, quello inglese dei tardi anni Settanta, in cui la veloce industrializzazione del Paese nel dopoguerra si era lasciata dietro anche sacche di grande povertà, soprattutto nei contesti più periferici.
Molte delle donne brutalmente assassinate dallo squartatore facevano parte di un ceto medio impoverito, costrette a prostituirsi per sostenere la famiglia, diventando così preda di un killer misogino. Oltre a mettere in fila le indagini che hanno portato alla cattura dell’assassino e raccontare le storie delle donne vittime, la serie cerca di interrogarsi su temi dal più ampio portato culturale, per esempio inquadrando la caccia al killer anche alla luce dei grandi pregiudizi e stereotipi che caratterizzavano la polizia dell’epoca (largamente composta da agenti uomini).
Le vicende narrate sono molto intricate e i personaggi coinvolti numerosi: seguire la serie richiede parecchia concentrazione ma lo sforzo è ripagato, i valori produttivi sono molto alti e il trattamento visivo dato alle immagini d’archivio dell’epoca restituisce i colori di un’Inghilterra fitta di contraddizioni.