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 2021  gennaio 30 Sabato calendario

De Roberto, un Vicerè alla Lettura di Giacosa


La fertile collaborazione quale critico letterario di Federico De Roberto al «Corriere della Sera», direttore Eugenio Torelli-Viollier, ha inizio con la pubblicazione in appendice di uno dei primi romanzi polizieschi della letteratura italiana, Spasimo, dal 26 novembre 1896 al 6 gennaio 1897, poi apparso in volume per l’editore Galli, lo stesso de I Vicerè. Una collaborazione che proseguirà lunga e intensa anche quando, scomparso nell’aprile 1900 Torelli-Viollier, la direzione politica del giornale viene assegnata a Luigi Albertini, che ne aveva già il pieno controllo amministrativo. A legarli, come documenta il fitto carteggio tra loro intercorso, «una dolce e grata amicizia». Ma un ruolo primario De Roberto ha ricoperto pure nella storia della nascita e dei fervidi anni della prima stagione de «La Lettura», il glorioso mensile illustrato sorto nel gennaio 1901.
Già nel dicembre 1899, Albertini aveva informato De Roberto di un grande progetto editoriale che gli avrebbe consentito di esaudire il sogno a lungo vagheggiato di trasferirsi a Milano, meta prediletta, al pari dei sodali Verga e Capuana. Era stato De Roberto a introdurre il giovane Albertini nel cenacolo del Caffè dell’Accademia, in piazza della Scala, dove solevano incontrarsi con Pozza, Praga, Giacosa, Oliva, Boito. Ma Milano significava anche la vicinanza a Ernesta Valle, l’amata Renata (perché rinata all’amore), con cui, dal giugno 1897, aveva intrecciato un ardente legame.
Albertini era stato allusivo. Ma De Roberto, sempre più sospinto dal desiderio di sottrarsi al soffocante affetto della madre, la possessiva donna Marianna degli Asmundo, e alla noia del provinciale ambiente catanese, aveva insistentemente rimuginato, caricandola di aspettative, sulla velata promessa del tanto autorevole amico che non parlava invano: «Tu finirai con lo stabilirti a Milano; troverò io il modo». In che ruolo? Nel corso di «enormi chiacchierate» Albertini e De Roberto, partecipe dell’officina interna del giornale, amavano confrontarsi sulle novità da apportarvi, sulla necessità di dare spazio alle sempre maggiori pubblicazioni letterarie, talora di necessità sacrificate dalla rubrica Bibliografia curata dallo scrittore. Poco meno di un anno prima, aveva visto la luce il popolare supplemento settimanale illustrato «La Domenica del Corriere». Come non pensare a un nuovo periodico destinato a un pubblico più colto? Un’amicizia, la loro, fatta di confidenze scherzose («Qual è ora il teatro delle eroiche, volevo dire erotiche tue gesta?») e intime («Ho dovuto fare uno sforzo non piccolo per vincere la tentazione di dire qualche cosa a Verga»). L’allusione è all’ancora segreto rapporto sentimentale di Albertini con la secondogenita di Giuseppe Giacosa, Pierina, che sposerà nel settembre. Testimoni per la sposa Verga e lo zio Piero, per lo sposo Pozza e De Angeli, comproprietario del «Corriere».
Quale il significato del promesso impegno di dicembre, continua a chiedersi lo scrittore che nel giugno 1900, tornato a Milano, ansioso sollecita notizie. Della nuova rivista direttore sarà Giacosa, contento di avere al suo fianco De Roberto. Quanto al compenso, «tra la remunerazione per gli articoli del “Corriere” e quella per il lavoro nuovo», avrebbe potuto fare assegnamento «sopra un minimo di 400 lire al mese». Necessaria la permanenza a Milano dove avrebbe avuto un ufficio in redazione. Presto la cocente delusione. Offeso, nel novembre 1900 ad Albertini: «Col Giacosa, alla nuova rivista va tuo fratello. Tu eri padrone, dopo avere offerto a me quest’ufficio di darlo ad altri; ma, dal momento che avevi mutato parere, dovevi subito avvertirmene, e non lasciarmi un mese e mezzo in aspettazione di notizie, e non scrivermi in modo enigmatico». Se giustificabile la scelta quale direttore de «La Lettura» di Giacosa, personalità prestigiosa, drammaturgo acclamato, librettista di Puccini, non lo stesso poteva dirsi per quella di affiancargli al posto a lui promesso il poco più che ventenne fratello Alberto. Annunciatagli pure l’impossibilità per il «Corriere» di mantenere l’impegno, risalente a un anno prima, di pagargli, 50 lire l’uno, quattro articoli al mese anche se non pubblicati. È troppo. Amareggiato, manifesta l’irremovibile decisione di rinunziare a tutto e tornare alla narrativa. E all’invito del direttore risponde: «Caro Albertini, passare da te per sentirmi dire che il torto è mio mi pare alquanto inopportuno, persuaso come sono che tutti i torti stanno dalla tua parte». Il dissidio, inghiottita l’amarezza, è tempestivamente sanato. La collaborazione al «Corriere» con articoli per la V colonna continuerà proficua, de «La Lettura» sarà nominato redattore e vi comparirà fin dal primo numero con un articolo firmato «Feder» e due rubriche I Libri, firmata «Il Lettore», che abbraccia vari settori tematici dove recensisce le novità librarie come faceva sul «Corriere», e Dalle Riviste. Molto avrà influito su quest’ultima la conoscenza di De Roberto della pubblicistica francese e l’esperienza londinese di Albertini a contatto con la redazione del «Times» e la stampa popolare anglosassone. Compenso mensile 450 lire, 100 per due articoli al «Corriere» e 350 per l’impegno a «La Lettura». Ma durante prolungati soggiorni catanesi il lavoro di redazione verrà svolto da Alberto che finirà per prendere il suo posto. Neanche le riviste per lo spoglio riceverà più, perché pure quello si deve fare a Milano dove è possibile reperire le illustrazioni.
Nel gennaio di 120 anni fa esordiva «La Lettura», gloriosa rivista culturale mensile del «Corriere della Sera»
«La sola cosa che mi lasciano interamente, realmente è la rubrica dei libri. (…) Vedi: nulla mi è valso stillarmi 40 anni il cervello: i libri sono rimasti involti in una semi oscurità di limbo; il giorno che ho dato tutta la mia attività al giornale non ho potuto ottenere ciò che gente senza ingegno e senza studi hanno e mantengono!» così a Renata il 25 aprile 1902.
Non condiviso da Giacosa il trasferimento dal gennaio 1903 della rassegna bibliografica da «La Lettura» al «Corriere»: «Ma perché hai lasciato La Lettura? Come vedi il tuo posto non l’ho dato a nessuno. Mio genero Albertini crede che la rassegna bibliografica bastò farla sul Corriere e sostiene che gli editori e gli autori sono con lui. Convengo che fra un articolo del Corriere ed uno della Lettura, gli editori e gli autori possano scegliere il primo, perché destinato a maggior diffusione. Ma resta sempre che La Lettura a sopprimere la rubrica i libri, ci ha perduto. Non so come affari, ma certo come nobiltà. Ora l’Albertini mi pare che venga un po’ dalla mia. Io serberei La Lettura ai libri che meritano una recensione distesa e lascerei al Corriere oltre ai tuoi articoli periodici un copioso bollettino bibliografico» (5 giugno 1903). De Roberto continuerà a scrivere per il «Corriere» – «la mia affezione, la mia occupazione, la mia distrazione, il mio tutto intellettuale e morale» – fino al 1911. La rottura definitiva allorché Alberto sottopone l’articolo sul medico Paul Dubois al collaboratore scientifico Clerici che lo rifiuta. Fortemente risentito, De Roberto lo invierà a Bergamini per «Il Giornale d’Italia» che lo pubblicherà subito. Quanto a «La Lettura» continuerà a pubblicarvi, seppur saltuariamente, fino all’aprile 1923, con scritti anche creativi, novelle, commedie, capitoli di quella «biografia aneddotico-critica» su Verga mai completata. Anche dietro le insistite e affettuose richieste del nuovo direttore Renato Simoni: «Ho letto con grandissimo piacere il tuo magnifico articolo [Il volo di Icaro. Domenico Castorina e Giovanni Verga]. Sei veramente il collaboratore ideale della Lettura. Tutto quello che fai ha una nobiltà e dà, nel tempo stesso, tanto piacere, che proprio c’è da dolersi di non avere più frequenti opere tue» (6 agosto 1921).
De Roberto non è stato solo un collaboratore prezioso, un lettore avido, onnivoro, un critico accurato, puntiglioso, ma pure un intellettuale innovativo. Preda del male oscuro dei nervi, in desolata sconsolatezza, il poligrafo De Roberto non porterà a termine L’Imperio, che doveva fare «l’effetto di una bomba», seguito de I Vicerè, «il più grande romanzo che conti la letteratura italiana dopo I promessi sposi», disse Leonardo Sciascia.