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 2021  gennaio 30 Sabato calendario

Le vittorie di Martina Trevisan

Di Martina, chiusa in quarantena dentro una stanza d’albergo a Melbourne, Australia, nel video della chiamata su Zoom arrivano prima i ricci. Tanti e disobbedienti, proprio come chi si è ribellata a una storia già scritta. «Se penso a me, vedo mille sfaccettature: la fragilità, la rabbia, la grinta, la gioia. Ho imparato che la voglia di sognare è una forza vincente. E se quando stai male ti chiedi perché, le risposte arrivano sempre».
Con Martina Trevisan, 27 anni, fiorentina, numero 86 della classifica mondiale, figlia di Monica e Claudio ex centravanti in serie B, sorella di Matteo a cui avevano pronosticato un futuro da Roger Federer (maledetti infortuni...), è un peccato mortale parlare solo di tennis. Martina è molto più del quarto di finale raggiunto a Parigi l’anno scorso dopo una rincorsa a perdifiato dalle qualificazioni, è più del suo bel dritto mancino e delle ambizioni che ha messo in valigia partendo per l’Australian Open, primo torneo Slam della stagione (al via l’8 febbraio), lasciandosi Covid («Pochi sintomi ma una grande spossatezza quando sono tornata in campo») e quarantena («Io ero sul volo da Abu Dhabi, per fortuna non sono entrata in contatto con positivi e quindi ho potuto allenarmi qualche ora al giorno: per il resto ho fatto yoga, ho ripassato l’inglese e ho parlato su Skype con l’Italia») alle spalle. Martina è la sua esperienza di guarigione dai disturbi alimentari nel periodo in cui i genitori si stavano separando, è l’odio per il tennis prima di reinnamorarsene perdutamente («Ho letto “Open”, di Agassi, certo: ero nel buio e mi ci sono ritrovata, sottolineavo le frasi del libro con l’evidenziatore, una su tutti: detesto il tennis ma non riesco a smettere di giocare»), è tre anni lontano dal campo facendo altro («Ho finito il liceo linguistico e mi sono occupata del mio malessere») prima di tornare all’antica passione.
Portatrice sanissima di guarigione, insomma, Martina è un messaggio ambulante di vita che arriva dall’altra parte del mondo all’alba della stagione che deve consacrarla tra le tenniste top-100 («L’obiettivo è giocare il più possibile ad alto livello: risultati e classifica verranno da sé») e numero uno d’Italia, possibilmente con qualche altra incursione da ribelle (vedi il Roland Garros 2020) nell’attico del tennis mondiale: «La consapevolezza che a quel livello posso starci, ora ce l’ho. Io nella seconda settimana di uno Slam? Mi sono meravigliata da sola. Ma tutto ha un sapore diverso e migliore per il passato da cui provengo».
Adesso che i fantasmi sono alle spalle («Continuo a frequentare la psicologa a Pisa e lavoro con un mental coach per l’aspetto sportivo»), è bello voltarsi e rendersi conto che non fanno paura. «Da che mi ricordo, ho sempre avuto la racchetta in mano: ogni mia foto da bambina è ambientata al circolo — racconta Martina con il vassoietto del cibo passato attraverso le procedure australiane anti-Covid sul letto, da noi mattina e da lei ora di cena —. Il tennis mi è piaciuto subito. Ma come ragazza crescevo meno che come tennista, si è creata una scollatura, come se non riuscissi a stare dietro ai risultati che cominciavano ad arrivare. Felicità e rabbia si alternavano, finché la seconda ha preso il sopravvento. Alla fine del 2009 ho deciso di smettere perché non mi divertivo più. Desideravo una cosa sola: liberarmi dalle catene». C’è un ciclista olandese molto forte, Tom Dumoulin, re del Giro d’Italia 2017, Martina; ha appena annunciato il ritiro a tempo indeterminato: non riuscivo più nemmeno a portare fuori il cane senza pensare alla bicicletta, ha detto. «Lo capisco. Arriva un momento in cui la tua unica preoccupazione è vivere. Poi, con il tempo, devi provare a non pensare ai giudizi e a quello che vuole da te la gente, solo a stare bene con te stesso». La salvezza di Martina, curiosamente, è stata la causa originaria del suo disturbo: il tennis. «Insegnavo a bambini e adulti e sentivo una vocina dentro di me che diceva: Marti, occhio che quella porta non è chiusa». La sua scialuppa di salvataggio, paradossalmente, la malattia: «Con i disturbi alimentari ho finalmente mostrato all’esterno il mio male di vivere: nel tennis sembrava andasse tutto bene, ma dietro la maschera la realtà era ben diversa. I miei genitori, distratti dai loro problemi, si sono accorti che c’era qualcosa che non andava». Occuparsene è stato il primo passo di guarigione.
Pian piano sono tornati i bei pensieri, la fame di cibo, sport e amore: «Innamorarmi è stato un passo importante. Prima con i ragazzi mi vergognavo, non volevo farmi vedere. Con Marco, che ha una pompa di benzina a Pontedera, per la prima volta riesco a essere davvero me stessa». Non stupisce che la vera Martina, che si allena al centro federale di Tirrenia e gira per il mondo con un mini staff (il coach Matteo Catarsi, nomen omen, e il preparatore atletico Donato Quinto), abbia potuto liberare il suo talento una volta rimessi insieme i pezzi del puzzle. «Oggi sono felice. Mi piace viaggiare, allenarmi, stare dentro il campo, sfidare le avversarie». Inclusa la mitica Serena Williams, pantera 39enne ancora a caccia del 24esimo Slam.
Si è fatto tardi, la nuova Trevisan che ha due cuori tatuati sul braccio vuole dormire. «Mi piace, attraverso la mia storia, mandare un segnale di positività: non mi gratifico mai abbastanza, sai». Sogni d’oro, Marti.