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 2021  gennaio 29 Venerdì calendario

Polonia, il veto di abortire e la rivolta contro Kaczynski

Varsavia urla. Ripetendo la stessa frase contro il cielo buio “Io sento, io penso, io decido”, cantando I will survive, o intonando semplicemente un coro di “bastardi, vaffanculo”, le donne polacche hanno marciato unite fino alla sede centrale del Pis, il partito ultraconservatore Diritto e Giustizia di Jaroslaw Kaczynski, e poi fino al palazzo della Corte costituzionale che ha reso esecutiva la legge che ha cancellato per sempre il loro diritto di scelta. In Polonia da oggi abortire è reato: lo dice il nuovo emendamento già approvato il 22 ottobre scorso, ma posticipato a causa delle proteste e scontri con le forze dell’ordine che avevano invaso la nazione durante il picco pandemico.
La legge è entrata in vigore al buio, in silenzio, quasi in segreto quando il Pis ha reso nota la sua improvvisa pubblicazione in Gazzetta ufficiale, accompagnata dalle motivazioni della Corte costituzionale “che giustificano la regolamentazione della protezione della vita”. Legislatori anonimi: sono rimasti segreti i nomi dei cento autori della legge che adesso permette l’interruzione di gravidanza solo se mette a rischio la vita della madre o risulta frutto di incesto o violenza, entrambi atti difficili da provare.
“Questi uomini fanno solo ciò che sanno fare meglio: toglierci diritti e libertà. Questa è la decadenza dello Stato”. Dalla massa arrabbiata si leva una voce più alta ed è quella di Marta Lempart, tra i membri più noti di Straik Kobiet, il movimento “Sciopero delle donne”, promotrice delle proteste dal 2015. L’attivista richiama tutti alla lotta in campo aperto: non è solo “un crimine contro le ragazze, ma contro avversari e minoranze: è urgente che ognuno esprima la propria rabbia, prendetevi le strade”. Per sbeffeggiare valori vetusti e antiquati di una patria che le reprime nel ruolo esclusivo di donne e madri, le ragazze di Straik Kobiet, in rosso come le puerpere del romanzo distopico Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, sono già entrate negli ultimi mesi perfino nella cattedrale di Stanislaus Kostka a Lodz. Per Piattaforma civica si tratta di una provocazione del Pis, “un insabbiamento per nascondere le tracce della capitolazione nella lotta al Covid-19 e il fallimento della campagna vaccinale”. Se questa norma legislativa “è una guerra contro le donne” per Wanda Nowicka, membro del partito Sinistra, le attiviste per i diritti umani non hanno paura di chiamarla “tortura”. Nel 2020, per malformazioni del feto, in Polonia sono stati compiuti solo 1.074 aborti dei totali 1.100, ma da oggi quelli risulterebbero illegali. Non solo le strade: anche le sale operatorie clandestine del Paese sono piene, come quelle delle cliniche private delle nazioni confinanti che le ragazze polacche raggiungono. Le più abbienti vanno in Germania, le più povere in Repubblica ceca. Poiché già prima dell’entrata in vigore della legge la maggioranza dei dottori polacchi si rifiutava far abortire le donne, secondo stime delle ong, sono 200 mila gli aborti compiuti in maniera illegale in Polonia o nel rispetto della legge all’estero.
Non più un solo Paese, ma due: c’è una Polonia in piazza che ripudia la Polonia al governo, quella che però trae voti e potere dalle zone rurali più povere e tradizionaliste della nazione e compiace le politiche retrograde della chiesa cattolica e del suo elettorato. Marce di rabbia così partecipate non si scorgevano nel panorama polacco dal 1980, l’epoca in cui si protestava con Solidarnosc contro i sovietici. Oggi gli uomini che occupano le strade insieme alle donne contro la repressione della loro libertà condannano un governo autoritario. Per il sindaco di Varsavia, città testa d’ariete contro le scelte dei conservatori, ciò che ha deciso di fare il Pis è “un atto consapevole e calcolato ai danni dello Stato, compiuto contro la volontà dei polacchi”. Per Rafal Trzaskowski “non solo le donne, ma è l’intera nazione ad averne avuto abbastanza”.