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 2021  gennaio 29 Venerdì calendario

Storie di liti e personalismi

C’entra la politica o c’entrano i caratteri? Sono liti per davvero o pezzi di teatro dedicati all’elettore? E soprattutto: quanto influisce il leaderismo dilagante, il personalismo esasperato di questa Seconda Repubblica, che spesso riduce la politica a scontro personale, a rissa tra caratteri, a un duello tra visioni che diventano inevitabilmente inconciliabili?
Non sono questioni che riguardino, naturalmente, solo la disputa in atto tra il presidente del Consiglio e il leader di Italia Viva, che pure – sentendo odor di bruciato – ieri dal Quirinale ha assicurato che «se si parla di politica e non di risentimenti, noi ci siamo». Infatti, prima e oltre quest’ultimo duello rusticano, la lite, la rottura e la ricomposizione sono stati «pezzi forti» dell’agire politico. Solo che hanno cambiato dinamica e toni, adeguandosi all’imperante spettacolarizzazione.
Sono cambiati anche i protagonisti, naturalmente. E si è andato via via affermando uno stile (usiamo un eufemismo) più diretto. È difficile immaginare una polemica tra Fanfani e Berlinguer – per dire – condotta a colpi di «povero pirla» (Bossi contro Berlusconi) o «pataccaro e sfasciacarrozze» (Berlusconi contro Bossi). Non era di moda: e i rispettivi partiti – soprattutto – non lo avrebbero permesso. Ma i tempi cambiano. E a sdoganare la lite in politica come uno spettacolo da non mancare è stata, naturalmente, la tv.
Era il 22 aprile di 11 anni fa. Un giovedì. Roma, Auditorium della Conciliazione. Uno – Silvio Berlusconi – era alla tribuna; l’altro – Gianfranco Fini, al tempo presidente della Camera – sedeva in prima fila. La scena, entrata nelle case degli italiani, resta indimenticabile. Il primo accusa il secondo di fare polemiche contro il governo, avvisandolo che è l’ora di smettere. E allora il secondo, ancora seduto, replica col famoso «se no che fai, mi cacci?». Berlusconi continua, quasi urla; Fini si alza e va verso la tribuna. Per un attimo si teme lo scontro fisico. I due continuano a gridare. Le immagini piombano nelle case e negli uffici. Gli italiani partecipano, perfino divertiti. In termini di consenso, la rissa può pagare... Fu come inaugurare una nuova era.
Quello fu uno scontro che non venne mai sanato. Illuminante (e profetica) fu la spiegazione che ne diede Ignazio La Russa, presente a quella tesissima Direzione del Pdl: «Quel giorno fu l’epilogo di uno scontro che andava avanti da tempo. L’incompatibilità personale che c’era tra Silvio e Gianfranco, pesò più del dato politico». Incompatibilità personale: una categoria non politica che aveva lentamente trovato il suo posto accanto a quelle più tradizionali. Una variabile impazzita – un virus – che ha cominciato a segnare (e segna tutt’ora) il confronto tra partiti e soprattutto leader.
Non che sia cominciata con Bossi e Berlusconi, naturalmente. Ma prima era diverso: tutto più sottotraccia e, se si vuole, cercando di tenere uno stile. In fondo, era necessario che chi dovesse capire, capisse: non si parlava direttamente alla piazza. Anche perché non si era ancora manifestata la forza dei social, poi dilagati con la loro incontrollabile violenza.
Esemplare, da questo punto di vista, è stato il duello infinito tra Romano Prodi e Massimo D’Alema intorno al senso dell’Ulivo e a chi spettasse davvero il bastone del comando. Questioni tutt’altro che astratte. Ecco un esempio di come si polemizzava a metà anni ’90. Prodi a D’Alema: «Abbiamo vinto le elezioni ma abbiamo perso l’Ulivo. È morto, ucciso dalle furbizie, dalla restaurazione dei partiti. Ho tanto amato l’Ulivo che, pur di difenderlo, ho accettato di passare per coglione». E D’Alema a Prodi: «Quando è nato l’Ulivo c’ero io e c’era il Ppi. Lui non c’era, l’abbiamo chiamato dopo. Dopo che abbiamo deciso che era adatto a fare il leader. Non è Prodi che ha chiamato noi e costretto i partiti a stare con lui...».
Non è che i toni non fossero duri, anzi: ma l’obiettivo non era quasi mai spettacolarizzare lo scontro, quanto – piuttosto – strappare risultati politici concreti. Si pensi, per dirne un’altra, al durissimo scontro tra Bettino Craxi e Ciriaco De Mita per il tradimento (da parte del leader socialista) del cosiddetto «patto della staffetta» (alternanza tra Dc e Psi a palazzo Chigi): una polemica assai violenta, che precipitò nelle elezioni anticipate, senza però mai tracimare nell’insulto gratuito e nella volgarità.
Craxi-De Mita, Prodi-D’Alema, Bossi-Berlusconi, Berlusconi-Fini... Personalità forti e caratteri certo complicati. Oggi è la volta del duello tra Conte e Renzi. Persone lontanissime per formazione e carattere, ma accomunate da una sconfinata opinione di sé. «Ho scritto lettere e non mi ha risposto», ha lamentato il leader di Italia Viva; «Non mi farò umiliare da lui», assicura il Presidente del Consiglio. C’entra la politica? Certo che c’entra. Fino a che punto, lo scopriremo presto.—