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 2021  gennaio 29 Venerdì calendario

LA CRISI NON È UN WESTERN

Il primo round della crisi è un perfetto stallo alla messicana. Nessuno sa perché si chiami così, ma tutti l’abbiamo visto mille volte al cinema, da Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone a Pulp Fiction di Tarantino. Tre persone si puntano reciprocamente addosso un’arma: nessuno può fare la prima mossa senza rischiare che sia l’ultima. Può durare a lungo. Di solito finisce male.
Nel nostro film della crisi il primo uomo con la pistola è Matteo Renzi. La punta contro Conte. La minaccia è semplice: se ottieni l’incarico devi venire a chiedere i miei 17 voti al Senato perché di voti tuoi, quelli dei «responsabili», non ne hai trovati abbastanza. Dunque dovrai concedere adesso ciò che hai negato finora. Un altro Recovery plan, un’altra cabina di regia, un altro ministro di Giustizia, forse un altro ministro del Tesoro e chissà che altro. Naturalmente Conte sa benissimo che, se abbassa la sua arma e accetta le condizioni, Renzi può sparare comunque.
Anche Conte però ha una pistola carica, e la rivolge contro Di Maio. Se, insieme con Zingaretti, dovesse essere tentato di approfittare della situazione per sostituirlo con un altro premier, lui può trovare al Senato quella ventina di voti che possono far saltare l’operazione e forse la legislatura. È l’unico in grado di promettere posti in Parlamento se si torna alle urne, con una sua lista nuova di zecca: rifiutando l’«inciucio», tanti pentastellati salverebbero così l’anima e la poltrona.
Di Maio mostra di aver capito l’antifona, e infatti punta platealmente la sua colt contro Renzi, che pure gli offrirebbe perfino Palazzo Chigi, dicendosi pronto a sparare se anche un proiettile vagante dovesse colpire il presidente del Consiglio; da cui l’espressione «o Conte o morte».
Finzione e realtà
Con quasi 90 mila vittime del Covid, un piano vaccinale in ballo, è ora di uscire dal film
Ma poiché lo stallo alla messicana è anche detto «triello», non possiamo non vedere anche quello in corso nel centrodestra; per ora poco influente, perché al primo giro la partita si gioca solo nella metà campo giallo-rosso, ma domani chissà.
Qui è Giorgia Meloni la donna con la pistola. Con mano che non trema minaccia Salvini: se apri a un governo qualsiasi che eviti le elezioni, io sparo, e il nostro elettorato saprà che l’unica vera pistolera da queste parti sono io. A sua volta Salvini, preso tra due fuochi, intima a Berlusconi di non tentare fughe, anzi di fermare i suoi uomini come il senatore Vitali, che con il favore delle tenebre l’altra notte ha tentato di lasciare il villaggio. L’arma che impugna Berlusconi potrebbe sembrare scarica. Ma in fin dei conti ha una cinquantina di proiettili (pardon, senatori), e se decidesse di usarli sarebbe la pistola delle elezioni anticipate a rivelarsi caricata a salve.
Non invidiamo il presidente Mattarella. Come lo sceriffo nei saloon, deve convincere uno a uno i triellanti a calmarsi, ad abbassare le armi, e a sedersi buoni buoni a un tavolino davanti a una birra, per fare la pace. Ci vuole sangue freddo: nello stallo alla messicana basta un niente e parte il grilletto. Ma la metafora cinematografica finisce qui. Nella realtà ci sono quasi novantamila vittime del Covid, un piano vaccinale ancora in ballo, un programma di investimenti da definire, centinaia di migliaia di licenziamenti in agguato da marzo. È ora di uscire dal film.