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 2021  gennaio 28 Giovedì calendario

Intervista a Kasia Smutniak

La giovane Mavi che diventa madre troppo presto (Nelle tue mani di Peter Del Monte). Elena di Allacciate le cinture di Özpetek consapevole che il tempo può diventare un alleato. La soldatessa Manuela che sa che la vita continua anche dopo le ferite più dolorose (Limbo di Pellegrini). La Kira di Loro di Sorrentino, ovvero il gusto di liberare la femminilità. «Ogni pezzo della mia vita è legato a un personaggio, sono il mio percorso emotivo. Nei film metti molto di più di quello che c’è dentro». Nell’ultimo «nascondiglio», racconta Kasia Smutniak, si è trovata molto a suo agio. Interpreta Anna, la figlia di Maria Linde (Krystyna Janda, attrice per Wajda e Kieslowski), ebrea polacca, poetessa premiata con il Nobel, in Italia da molti anni in Dolce fine giornata di Jacek Borcuch (prodotto da Fandango, il 3 febbraio su Sky Cinema Due, in streaming su Now tv).
«Un film sulla libertà, sul bisogno di appartenenza e l’importanza delle parole. Parla pure di me. Mai trovato prima un progetto che raccontasse il mio essere straniera in un paese straniero ma anche nel mio paese. Recito, come Krystyna e gli attori che fanno i miei figli, in italiano e polacco, passando da una all’altra lingua con naturalezza. Abbiamo girato in Toscana con troupe e catering polacchi, in due mondi paralleli, come Matrix. Nata e cresciuta in Polonia, da oltre vent’anni qui, alla domanda che mi faccio anche da sola, ti senti più polacca o italiana?, ho finalmente trovato risposta».
Ovvero?
«Mi sento europea. Tutti cercano un’appartenenza. Come, nel film, Namer (Lorenzo de Moor), egiziano copto, arrivato in Europa in cerca di una vita nuova. La Toscana è simbolo di bellezza cultura, arte, vita tranquilla e civile, spesso esaltata nei suoi cliché. Noi ne mettiamo in evidenza contraddizioni e paure. Quelle di una classe sociale, degli intellettuali e artisti che è anche la mia. Maria Linde è frutto di questa Europa, figlia di due deportati vittime dell’Olocausto, una guida morale per la comunità che dopo il trauma che scuote tutti, un attentato, non vuole rinunciare alla libertà di dire la sua. Anche se risulta disturbante».
Un tipo tosto.
«È un film al femminile: madre, figlia e nipote. Tre generazioni, tre spiriti ribelli. Anche l’Europa è donna, saggia, bella e piena di contraddizioni come Maria».
Parla spesso di suo padre, meno di sua madre?
«Quella del film è molto diversa dalla mia, ma credo ci siano similitudini, un po’ di ribellione c’è stata, sono andata via. Ora tocca a me, devo mettermi in discussione. Se penso a cosa voglio dare ai miei figli è la libertà».
La vedremo nella serie Sky Original «Domina»: è Linda Drusilla, destinata a diventare imperatrice romana.
«Sento sempre più il bisogno di confrontarmi con storie di donne forti, per darmi io forza. Qui si racconta il potere nell’Antica Roma attraverso le donne, oltre la figura di matrona o devota alla famiglia, mettendo in gioco altri elementi. Il legame con il potere. Mi sto divertendo. Anche Livia Drusilla mi fa capire delle cose di me».
Identità
Mi sento più polacca
o italiana? Finalmente
ho trovato la risposta:
sono europea
Nel giugno scorso ha scelto di parlare della sua vitiligine. Perché?
«Ho bisogno di riferimenti forti: i miei si legano a trasparenza e verità e attaccamento alla vita reale. Essere se stessi oggi, al tempo dei social, è la cosa più rivoluzionaria. Quando l’ho accettata e ne ho parlato ha smesso di essere un problema per me».
Si è schierata in difesa del diritto di aborto in Polonia.
«Chi ha la possibilità di farsi sentire ha il dovere di prendere posizione. Quello che succede in Polonia è il culmine di un percorso che ha scatenato la rabbia delle donne. La Polonia è parte dell’Europa, dobbiamo tenere gli occhi aperti in tema di diritti civili».
Continua a occuparsi della onlus Pietro Taricone, a cui era legata, scomparso in un incidente di paracadutismo.
«Il motore del progetto è stato trasformare l’attenzione e l’amore di tutti in qualcosa di concreto. Pietro era una persona concreta. È una realtà che porta il suo nome e appartiene ai bambini e alle famiglie di Mustang. Il senso è credere nel futuro attraverso l’educazione. Con la pandemia ci siamo resi conto quanto sia importante. Stimo molto gli insegnanti che in questi mesi si sono adattati, mi commuove la loro dedizione».
Sono più gli anni passati in Italia che in Polonia. Quanto la ha cambiata?
«Tantissimo, lo capisco quando sono lì. Tre anni fa per il remake di Perfetti sconosciuti che ho anche prodotto, interpretavo Eva che fa l’attrice in Italia. In una scena dovevo scolare la pasta e il regista aveva previsto un dialogo di qualche minuto prima di mettere il sugo. Mi sono ribellata: non posso farla. Se scoli la pasta la condisci subito. Pochi scherzi».