Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  gennaio 28 Giovedì calendario

La sparizione di Grillo

La sparizione di Beppe Grillo sta uccidendo quel che resta del Movimento 5 Stelle. L’assenza non solo fisica del Garante, dell’unico leader davvero riconosciuto di un partito che in soli tre anni si è ristretto fino ad almeno dimezzare i suoi consensi, sta infliggendo ulteriori danni alla sua creatura politica.
Conosciamo parlamentari M5S che ogni mattina compulsano il sacro blog come fossero i fondi del caffè, alla ricerca di qualche indicazione sull’andamento della giornata, sulla linea da tenere. Ma è difficile, anche un po’ umiliante, trovare indizi tra un post sui moduli fotovoltaici organici in grado di generare energia elettrica dalla luce ambientale o un altro, benemerito, sull’aumento della disuguaglianza globale. Lasciando da parte ogni speculazione, e se ne fanno tante, sui problemi personali dell’Elevato che lo terrebbero lontano dalla politica attiva, bisogna stare ai fatti.
E i fatti dicono che dopo il fugace ritorno in scena del luglio-agosto 2019, quando con un vecchio pezzo di repertorio, «mi rivolgo ai giovani del Pd», benedisse di fatto l’alleanza giallorossa, le sue prese di posizione si contano sulle dita di una mano. A dicembre del 2020 c’è stato un messaggio convinto a favore di Virginia Raggi, che è bastato da solo a far evaporare la tentazione a quel tempo molto diffusa in M5S di abbandonare al suo destino l’attuale sindaca di Roma. Da allora, solo quelli che la sua ristretta cerchia chiama «endorsement silenziosi», così silenziosi che a volte proprio non si sentono. In questa fase di estrema difficoltà del Movimento, a parte la citazione delle Catilinarie dedicata in apparenza a Matteo Renzi, in pratica un buffetto, si è eclissato. A meno di non voler considerare messaggi in codice la condivisione di un articolo di Alessandro Di Battista su Julian Assange, o quella di uno scritto del parlamentare pentastellato Giorgio Trizzino che sembra aprire a un governissimo, e infatti subito è arrivata una inedita precisazione, vatti a fidare dei fondi del caffè.
Oramai Grillo parla in privato solo con poche e ben selezionate persone. Non vuole mettere mano alla crisi di governo, questo si è capito, alla pari di Davide Casaleggio, erede dell’altra metà fondatrice di M5S, con il quale i rapporti sembrano in via di disgelo. E da tempo si è reso conto dell’inadeguatezza del povero Vito Crimi, avviato a diventare uno dei più longevi reggenti della storia partitica italiana. Ma la creazione di un’Idra a cinque teste come il futuro Direttivo non restituirà ai Cinque Stelle una bussola. C’è solo una persona che avrebbe questo potere, lui. Nessun altro. Non Luigi Di Maio, che ormai si è giocato tutto sul terreno di questa legislatura e della sua durata. Non Di Battista, che segnerebbe un ritorno alle origini datato 2009, e in questi 12 anni di acqua sotto i ponti ormai ne è passata parecchia.
L’Elevato Grillo, cofondatore e anello di congiunzione tra le due fasi, è l’unica corazza che ancora rimane al M5S. Se uno non si rassegna a questa dissoluzione in atto, lui è il primo che non dovrebbe farlo, appare evidente come quest’ultima sia frutto dell’assenza di una guida. Se non altro, un addio definitivo ma chiaro obbligherebbe il M5S a emanciparsi, oppure a perire. Invece questa lenta evaporazione di Grillo equivale ad uno stato vegetativo. Il silenzio volontario al quale si è ridotto è fuorviante, perché non indica una linea, al massimo un campo di appartenenza, bianco o nero, come se la politica non fosse soprattutto sfumature di grigio e decisioni quasi quotidiane sull’intero scibile umano. Tra le tante ambiguità del M5S, quella sul ruolo del suo demiurgo rimane la più grande. E anche la più dannosa.