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 2021  gennaio 28 Giovedì calendario

Vaccino e penali. Ecco che cosa rischia ora AstraZeneca

Continua il braccio di ferro tra Bruxelles e la società britannica AstraZeneca per i tagli delle forniture dei vaccini all’Europa. In Italia saranno consegnate entro marzo 3,4 milioni di dosi rispetto alle 16 previste. Ma come per la statunitense Pfizer, il contratto firmato con l’Unione europea non prevede l’applicazione automatica di penali, ma solo «rimedi» da riscrivere con un nuovo accordo. L’azienda farmaceutica corre il rischio di dover risarcire fino al 20% del valore delle dosi non consegnate o di restituire le somme versate in anticipo. Ma questa strada, al momento, sembra la meno probabile.
ROMA La regola (generosa) è la stessa. Anche per AstraZeneca, arrivata al braccio di ferro con Bruxelles per i tagli alle forniture del vaccino anti Covid, con uno scambio di accuse che sembra non fermarsi più. Il contratto con l’azienda britannica, come tutti quelli firmati dalla Commissione europea con le altre case farmaceutiche, non fissa le forniture da garantire ogni settimana. Ma stabilisce solo le quote da rispettare ogni tre mesi. All’interno dei trimestri l’azienda può frenare o accelerare il ritmo, a seconda delle esigenze produttive. L’importante è che alla fine di marzo per il primo trimestre, alla fine di giugno per il secondo, e così via, la fornitura venga garantita. Ma anche se questo vincolo non dovesse essere rispettato, le carte in mano alla Commissione europea non sono poi così buone. Senza escludere effetti collaterali sull’ok alla vendita da parte di Ema, ormai questione di ore.
Il contratto
Le penali non sono automatiche, anzi risultano improbabili. A definire i «rimedi» in caso di violazione delle forniture trimestrali deve essere un nuovo accordo tra la casa farmaceutica e la Commissione. La penale può essere uguale al 20% del valore delle dosi non consegnate. Una sanzione abbastanza contenuta, che può essere messa in conto da un’azienda con le spalle larghe e con gli affari che vanno bene. Ma i «rimedi» possono essere anche altri, come la restituzione delle somme versate o addirittura la risoluzione del contratto. Un’ipotesi, questa, che sarebbe un suicidio perché significherebbe rinunciare alla consegne in un momento in cui di vaccini c’è grande domanda e poca offerta.
Le forniture
Da AstraZeneca, in un primo momento, l’Italia doveva avere nel primo trimestre 16 milioni di dosi. Una fornitura, che pur senza suscitare scandalo, era già stata dimezzata qualche settimana fa, scendendo a 8 milioni. Poi è stata ridotta di nuovo con quel taglio del 60% che ha innescato lo scontro con la Commissione europea. Per l’Italia significa avere nel primo trimestre appena 3,4 milioni di dosi a disposizione. Non solo. A proposito della possibilità di risoluzione del contratto, nel secondo trimestre di dosi ne dovremmo avere 24 milioni. Si tratta della fornitura più consistente di tutte, in un momento in cui saremo ancora esposti alle oscillazioni nelle consegne delle case farmaceutiche. E in cui non si sarà ancora concretizzata la strada della parziale autarchia, con la produzione del vaccino italiano Reithera che non arriverà prima dell’estate. Che fare, quindi?
Il via libera dell’Ema
A differenza di Pfizer, la battaglia con AstraZeneca è cominciata ancora prima del via libera alla commercializzazione del vaccino, previsto a giorni. L’Italia, come tutti i Paesi europei, non ha ancora il quadro delle forniture settimanali, ma solo il totale nei singoli trimestri, come previsti dal contratto. Un paradosso, perché i tagli sono stati in qualche modo preventivi. Eppure il paradosso, al di là delle smentite e del fair play, potrebbe trasformarsi in una leva negoziale. Il via libera dell’Ema, l’Agenzia europea dei medicinali, e poi quello successivo dell’Aifa, l’agenzia regolatoria italiana, potrebbero essere di due tipi. Un’autorizzazione piena, cioè senza distinzione per fasce d’età. Oppure condizionata all’utilizzo del vaccino per le persone che hanno meno di 65 anni o addirittura 55, visto che diversi studi hanno accertato un’efficacia minore nelle persone anziane. Non è una differenza da poco. Né per l’Italia, che avrebbe una carta in meno da utilizzare per l’immunizzazione delle persone con più di 80 anni, prossima tappa della campagna vaccinale. Né per AstraZeneca, che avrebbe un prodotto meno spendibile sul mercato, e quindi meno remunerativo.
Effetto Brexit
Difficile pensare che queste valutazioni non entrino in gioco nel braccio di ferro in corso in queste ore. Come è difficile pensare che non conti anche il fattore nazionale e geopolitico. Lo scontro con la statunitense Pfizer è stato meno acceso non solo perché i ritardi sono stati più contenuti e comunque successivi al via libera dell’Ema. Ma anche perché partner di Pfizer è la tedesca BioNTech. Proprio questa è stata la chiave che ha aperto le porte alla fornitura, anche questa preventiva, di 30 milioni di dosi alla Germania. La britannica AstraZeneca, invece, da un mese non è più sul territorio dell’Unione Europea. La Brexit scattata il primo gennaio ha alimentato qualche sospetto su forniture preferenziali verso il Regno Unito. Ma anche eliminato qualche remora per un confronto acceso. Ricordando sempre, però, che di quelle fiale abbiamo un enorme bisogno.