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 2021  gennaio 28 Giovedì calendario

Fenomenologia del casalinismo

È il mantello magico del Superman (ex-Superman?) di Palazzo Chigi e al tempo stesso la sua kriptonite. Rocco Casalino, portavoce del premier, è stato per tre anni la sua risorsa numero uno ma anche l’arma sistematicamente impugnata dai nemici per ferirlo, il tema fisso di ogni battuta irridente ai limiti dell’insulto, tanto che in questi giorni si parla del suo allontanamento come uno dei pegni che il premier dovrà comunque pagare, anche se riuscirà a trovarsi una nuova maggioranza puntellata dai centristi e riconciliata coi renziani.
L’espressione «il governo di Conte e Casalino» accompagna il presidente del Consiglio uscente dal suo primo incarico ed è stata abitualmente usata, fin dall’inizio dell’avventura politica del premier, allo scopo di denigrare Palazzo Chigi associandolo alla galassia dei talent e dei morti di fama. L’hanno ripetuta tutti, quella frase: il Pd quando Conte governava con la Lega, la Lega quando i ruoli si sono rovesciati e infine Matteo Renzi, che seppure senza citarlo direttamente, nei giorni della pre-crisi, ha evocato Casalino ogni volta che in tv o in Senato ha ripetuto: «Il dibattito non può essere sostituito da un tweet, il Parlamento non è una diretta Facebook, il governo non è un talent».
Ecco, l’arte dei talent applicata alla politica – l’abilità di costruire e demolire personaggi e imbastire un racconto che, alla fine, premi un solo protagonista – è la specialità di Casalino, che in fondo non ha fatto che implementare il ruolo praticato da molti suoi predecessori. Da tempo immemorabile, dall’epoca di Paolino Bonaiuti con Silvio Berlusconi fino a quelli di Filippo Sensi e Matteo Renzi, i portavoce sono diventati cosa ben diversa dai paludati custodi della «verità ufficiale» della Prima Repubblica. Sono spin doctor, funamboli dell’immagine e della parola, inventori di copertine, sparring partner e insieme coach di leader sempre bisognosi di rassicurazione, rivincite mediatiche, incoraggiamento, anche amicizia.
Casalino tuttavia, a differenza degli altri, è sempre apparso più padrone che maggiordomo, e forse per questo ha suscitato irritazioni così estreme. Come Giuseppe Conte è arrivato in politica da outsider assoluto, seppure dopo aver provato la strada della candidatura diretta nel 2012, alle Regionali lombarde, poi ritirata per l’insurrezione dei grillini duri e puri. Era già personaggio di successo, principalmente per la prima edizione del Grande Fratello, nel Duemila, che sfornò figure formidabili come Pietro Taricone e aprì una inaspettata finestra sull’«Italia normale». Un percorso peraltro condiviso da numerosi coetanei, comprese alcune star della politica che hanno cominciato in tv ma si sono fermati alle comparsate nella Ruota della fortuna (Matteo Renzi) o al Pranzo è servito (Matteo Salvini).
«Rocco» è diventato in fretta uno degli uomini chiave del Movimento Cinque Stelle. Quello a cui bisogna obbedire. Dicono le leggende che conquistò la prima assunzione mandando un video Youtube a Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio: «Sono Rocco Casalino, ingegnere elettronico e giornalista professionista. Vi chiedo di giudicarmi per quello che sono e di evitare i pregiudizi che mi accompagnano da molto tempo». Ma siccome le leggende in quel mondo le inventa lui, è lecito immaginare percorsi meno favolistici. Di certo dal 2013, quando entrò in pista come vice-capo della comunicazione al Senato, ha fatto fuori tutti quelli che occupavano ruoli superiori, elenco lunghissimo e dimenticato. È stato il ferreo custode del lockdown delle ospitate M5S (divieto assoluto di andare in tv, fase 2013/2014), poi il tutor della normalizzazione dell’immagine grillina (2014/2018) e infine, dal 2018 in poi, il signore indiscusso del grillismo di governo e del Contismo: una costruzione che sarà pure una bolla di sapone ma ancora regge nell’immaginario di gran parte del Paese.
Casalino ha difetti assai noti – prepotenza, spirito vendicativo, furberia corsara – ma chi ricorda i Cinque Stelle prima maniera sa che senza un bastone neanche Nando Orfei avrebbe potuto domare quel circo, composto da gente che straparlava sul controllo tramite microchip sottocutanei (Paolo Bernini) e capigruppo che commentavano pubblicamente i colloqui al Quirinale dicendo: «È andata bene, non si è addormentato» (Vito Crimi su Giorgio Napolitano). Si può immaginare quale trattamento-choc abbiano subito i diretti interessati se, dopo la sua promozione al top, la risposta di prammatica a qualsiasi richiesta rivolta a esponenti grillini diventò: «Devo sentire Rocco» (in alternativa: «Meglio che senti Rocco»).
Ora che «il governo di Conte e Casalino» è uscito di scena, ora che il premier ha perso il tocco magico e la testa di entrambi è sul ceppo, ci si chiede cosa resterà del Casalinismo qualora finisca male. Senz’altro ricorderemo la definizione che inventò per Conte, «avvocato del popolo», una genialata che riuscì ad accorpare il mondo Lega e M5S evocando al tempo stesso la giustizia, il garantismo e i rispettivi elettorati di protesta. Ricorderemo la primavera delle fidanzate, nel 2019, quando Luigi Di Maio e Matteo Salvini si rincorrevano su Chi con le foto delle loro nuove fiamme (Virginia Saba e Francesca Verdini), servite al pubblico per stroncare il gossip sul loro scarso successo con le donne (o addirittura la propensione a ignorarle).
Ricorderemo, anche, la libertà senza precedenti con cui Rocco ha portato la sua identità gay a Palazzo Chigi, mai nascondendola, anzi lasciandosi vedere volentieri in giro col compagno cubano Josè, 30 anni ben palestrati, un lusso che la politica italiana – dove gli omosessuali sono stati e sono un gran numero – non si è mai concessa, trincerandosi sempre dietro mogli e ragazze di copertura, improbabili voti di castità o giornate tutte casa-partito-chiesa (e chissà quanti ricatti, minacce, contropartite sono costate queste doppie vite). Ecco, magari anche questo dettaglio aiuta a capire il surplus malmostoso che Casalino provoca dentro e fuori dal suo mondo, tra i molti che vorrebbero andarsene in spiaggia con l’amico/a e non possono, tra i moltissimi prigionieri (non necessariamente omo) della finzione maritale, e insomma: vai a vedere che l’irrisione, l’uso del nome di Casalino come insulto, alla fine non nasconda anche un po’ di invidia.