Il Sole 24 Ore, 28 gennaio 2021
Famiglie Usa, è Borsa mania
La caduta di Wall Street e dei listini globali di mercoledì avrà probabilmente fatto tremare le gambe a non pochi cittadini statunitensi. Perché, grazie anche ai fondi che lo Stato ha erogato alle famiglie per aiutarle durante la pandemia e che queste hanno investito a Wall Street, oggi i loro destini sono legati con un filo rosso a quelli dei mercati azionari: calcola JP Morgan che le famiglie oltreoceano abbiano un’esposizione record sul mercato azionario. Ancora più elevata di quella che avevano avuto durante la bolla del Nasdaq nel 1999-2000. Mai come oggi, insomma, le famiglie statunitensi hanno puntato sulla Borsa (direttamente o indirettamente tramite fondi) una porzione così rilevante dei loro risparmi: circa il 40% degli asset totali, contro il 25% circa delle famiglie europee, il 17% di quelle inglesi e il 10% di quelle giapponesi. Da popolo «bue» a popolo «toro» il passo è breve.
Questa, secondo JP Morgan, rappresenta una vulnerabilità per la Borsa Usa. Perché i piccoli risparmiatori sono storicamente i più emotivi e irrazionali. È questo sinonimo di bolla? Bisogna dare ascolto al vecchio motto di Rockefeller, secondo il quale «quando anche il lustrascarpe guadagna in Borsa è il momento di vendere»? Questa è una domanda che si pongono in tanti, ma il dibattito è aperto: nonostante il rally eccezionale delle Borse, in un contesto economico devastato dalla pandemia, l’opinione prevalente è che i mercati azionari possano crescere ancora. Anche Wall Strtet. La stessa JP Morgan, nello stesso report, ribadisce che c’è un ulteriore potenziale rialzo sui mercati azionari del 20%. Ma i rischi aumentano.
I sostegni alla Borsa
I motivi per restare ottimisti in effetti non mancano. Se è vero che i risparmiatori sono sovra-esposti sulla Borsa Usa, è anche vero che altre categorie di investitori non lo sono. Le azioni globali – secondo JP Morgan – pesano per esempio nei portafogli di fondi pensione e assicurazioni per il 43,8%: livello che è più basso del massimo post-Lehman toccato a gennaio 2018, quando l’allocazione per loro era pari al 47,6%. Questo significa che le Borse globali, e la stessa Wall Street, hanno ulteriore potenziale “benzina” per correre ancora. Ci sono poi gli utili delle aziende: dopo un 2020 depresso, Morgan Stanley – per fare un solo esempio – a fine 2020 stimava una crescita degli utili per azione nell’ordine del 25-30%. Ma in generale tutti guardano alle eccezionali politiche monetarie e fiscali, che sostengono i mercati finanziari.
I sintomi della bolla
Ma ci sono anche indicatori che suggeriscono cautela. Per esempio il fatto che i risparmiatori negli Stati Uniti investono spesso attraverso le opzioni, che permettono di fare il cosiddetto effetto-leva. Cioè di investire tanto, pur avendo pochi soldi a disposizione. Questo è un meccanismo che moltiplica i guadagni quando le cose vanno bene, ma anche le perdite se la Borsa gira. Ebbene: ora che l’incertezza sui vaccini diventa sempre più forte e che le varianti del coronavirus preoccupano, il rischio che la Borsa giri c’è. Ieri c’è stato un assaggio.
C’è un altro indicatore che preoccupa: il rapporto tra la capitalizzazione di Wall Street e l’aggregato monetario M2 è molto vicino ai massimi storici del 2007. «Questo significa che la liquidità presente nel sistema in gran parte è già confluita in Borsa – osserva Antonio Cesarano, chief global strategist di Interonte -. Per stimolare la Borsa serve dunque altra benzina, che in questo frangente è attesa dal stimolo fiscale di Biden». Finché non arriva, il rally può avere il fiato corto.