Corriere della Sera, 27 gennaio 2021
Il passo arrogante (e falso) di Modi
Il governo indiano di Narendra Modi ha fatto un pasticcio nel promulgare la riforma agricola che sta alla base delle proteste violente di ieri a Delhi. Nell’aprile 2019, il sindacato dei coltivatori, Bku, aveva pubblicato un «manifesto per la libertà» nel quale sosteneva che sette decenni dopo l’indipendenza nazionale la maggioranza della popolazione, i contadini, «è rimasta legata alle catene delle leggi e dei regolamenti». Chiedeva la liberalizzazione dei mercati agricoli. Questo, in effetti, era l’obiettivo delle tre leggi emanate dal governo contro le quali però dallo scorso autunno i coltivatori stessi si mobilitano in massa e assediano la capitale. È che la riforma è stata varata come un fulmine a ciel sereno e in modo rocambolesco.
Le tre leggi sono state imposte senza consultazioni – dicono i contadini. Il dibattito parlamentare e il voto su di esse, lo scorso settembre, è stato caotico: si dubita anche che per farle passare ci sia stata veramente una maggioranza. Il sospetto di molti commentatori è che il governo abbia voluto usare il momento difficile creato dalla pandemia per fare approvare senza discussioni una riforma attesa da tempo ma molto difficile da introdurre.
Le leggi prevedono la liberalizzazione dei mercati agricoli locali finora protetti e chiusi dal punto di vista geografico; introducono la libertà di commerciare tra agricoltori e imprese; e promuovono un sistema meno centralizzato per stabilire i prezzi delle produzioni. Si tratta di una deregolamentazione radicale che pone fine al sistema semi-socialista prevalente nelle campagne, nel quale la burocrazia statale, notoriamente poco trasparente, svolge un ruolo cruciale per la sussistenza dei contadini.
Di base, la riforma è necessaria. Il settore agricolo vale il 14% del Prodotto nazionale lordo indiano e il dieci per cento delle esportazioni. Quanti siano i coltivatori è un po’ un mistero ma si usa dire che più di metà della popolazione (1,35 miliardi di persone), sia legata all’agricoltura. Il settore è arretrato e va modernizzato, aperto. La riforma, però, è temuta dai contadini, i quali pensano farà perdere loro garanzie e reddito vitale: vorrebbero partecipare alla sua realizzazione. E ora rischia di essere sconfitta in piazza a causa dell’incompetenza e dell’arroganza del governo.
È la prima, vera crisi politico-sociale di Modi, forse ancora maggiore di quella provocata dal virus. Il primo ministro è un leader con un grande seguito, può recuperare. Ma il passo falso è serio.